Berlin, 2009

Berlin, 2009
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Tuesday, June 28, 2011

Lettereparole

Qui alcune pagine per lettori italioti... Roba vecchia...
Il tutto lo si può trovare in modo più organico semplicemente cliccando qui.
Ma, cominciamo:

Rubrica


Lettere Parole


Proverò a descrivere questa rubrica.


Innanzitutto qui tratteremo di lettere, e per la precisione faremo finta di…


No, già sbaglio. Per la precisione faremo vero di… perché qui ci occuperemo della verità, benché in modo insolito. Giocheremo con lo spazio ed il tempo, e più ancora con noi stessi, per trarre la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.


Ma nessuno giuri! Perché i fatti saranno assolutamente falsi, almeno quanto le persone che interverranno.


Sì! Mancheremo di rispetto allo scorrere del tempo, alle distanze spaziali e ad ogni cordialità, ma solo per raggiungere qualcosa che esista, qualcosa di vero.


Saranno autentiche le emozioni ed i pensieri, perché sinceri ed insofferenti, sarà vera la nostra passione, l’attenzione. Perché vorremo credere.


Dovrei forse spiegarmi meglio, e non abusare ancora della tua pazienza di lettore.


Dunque, dunque…


Questa che segue è una lettera, quasi a caso, fra le tante mai scritte. A caso perché io l’ho scelta, ed avrei potuto sceglierne una diversa, o qualchedun altro avrebbe potuto scegliere, poi altri avrebbe potuto scriverla, altri ancora riceverla… Insomma, è proprio a caso.


Eppure è proprio per lo stesso strano caso che tu ora stai qui a leggere, questa lettera, che è questa, mentre avrebbe potuto essere un’altra… Beh, anche tu, del resto, potresti essere, a caso, tutt’altro, ed invece – guarda caso – sei proprio tu!


Lo avrai capito: qui, l’intenzione seria è di giocare a caso!


Ed è tutto il vero di cui disponiamo, questo attimo (casuale) in regalo, per il quale spudoratamente saccheggeremo da corsari, come ladri privi di ogni riguardo, tutto il tempo e tutto lo spazio conosciuto, per raggiungere la nuova terra… la soglia del presente.


Perché – diciamocelo – “non si può andare avanti così”, ma come via di fuga siamo utopisti molto concreti, e scegliamo il presente: per elencare ad una ad una le nostre ragioni, le nostre erezioni, le nostre lettere e tutte le parole che occorrono. Fino ad una, e ricominciamo.


A partire da oggi, e periodicamente, su questa pagina verrà aperta pubblicamente una lettera, tratta dai celebri e meno celebri epistolari raccolti nel corso della storia: il poeta che ha scritto alla madre, il filosofo all’amata, la musicista al nipote, il pittore all’amico…


E chi vorrà potrà rispondere, incontrare con le sue parole quelle dell’autore, ma, essenziale, nei panni fasulli del destinatario della lettera. Così di volta in volta impersoneremo (quali logorroici corrispondenti) ora la madre, ora l’amico, ora il nipote… dello scrittore di sorta. Ed io pure, come di seguito vedete, risponderò.


Potrete inoltre scrivere ai vivi e ai morti (reali o immaginari), offrendo lo spunto, a me o a chi voglia, di rispondere nelle vesti del destinatario da voi scelto.


Le lettere potranno essere qui pubblicate. Scrivete al mio indirizzo di posta:


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Inizieremo con un’insolita lettera, riferita punto punto dal protagonista di un racconto di Tabucchi. Chi volesse cercarla spulci fra le prime pagine de Il gioco del rovescio, edito da Feltrinelli nel 1991.


Questa lettera fu scritta – fantastica Tabucchi – dalla umile famiglia di un casellante, che, per una volta, raccolse intorno al tavolo tutto il coraggio che poté, e cuore in mano e forza nei denti, scrisse nientemeno che al Ministro dei Trasporti, per domandare la salvaguardia di… una palma.


Siamo nel 1953, e questo gesto di coraggio della madre viene ricordato dal protagonista, con orgoglio e nostalgia, come un momento di felice raccoglimento familiare.


Per parte mia questa lettera è il regalo di un’amica, che pochi giorni fa mi ha consegnato, quasi un piccolo tesoro, questo libro di Tabucchi dalle sue mani alle mie, e forse mi perdonerà – e voi pure – l’infelice risposta di questo fasullo Ministro dei Trasporti (che son io travestita), sotto le cui parole poco ministeriali traspariranno le mie volgari.


Potete inviare, voi tutti falsi Ministri, se volesse è certo ben gradito anche qualche Ministro vero, le vostre risposte alla famiglia del casellante.


LA LETTERA


Al Ministro dei Trasporti, anno 1953.





«Egregio Signor Ministro, in relazione alla circolare numero tal di tali, protocollo tal dei tali, riguardante la palma situata nel piccolo terreno antistante al casello numero tal dei tali della linea Roma-Torino, la famiglia del casellante informa l’Eccellenza Vostra che la suddetta palma non costituisce nessun impaccio alla visuale dei convogli di passaggio. Si prega dunque di lasciare in piedi la suddetta palma essendo l’unico albero del terreno, a parte una rada pergola di vite che cresce sulla porta ed essendo molto amata dai figli del casellante, facendo specialmente compagnia al bambino che essendo di natura cagionevole è costretto spesso al letto e almeno può vedere una palma nel riquadro della finestra che se no vedrebbe solo aria che dà malinconia, e per testimoniare dell’amore che i figli del casellante hanno per il suddetto albero basta dire che l’hanno battezzata e non la chiamano palma ma la chiamano Giosefine, dovuto questo nome al fatto che avendoli noi portati una volta al cinema in città a vedere Quarantasette morto che parla con Totò, nel film luce si vedeva la celebre cantante negra francese col suddetto nome che ballava con un copricapo bellissimo fatto con foglie di palma, e allora i nostri bambini siccome quando c’è vento la palma si muove come se ballasse la chiamano la loro Giosefine.



La famiglia del casellante»



(Antonio Tabucchi)




LA MIA RISPOSTA. ALLA LETTERA :


Alla famiglia del casellante, 15 luglio 2002.



«Gentile famiglia,



ho letto e capisco le vostre ragioni. Spero capiate voi pure che il tempo a disposizione di un ministro dei trasporti è un bene prezioso, che purtroppo non può essere scialacquato senza danni per l’intero funzionamento del nostro amato paese. Voi di certo sareste più ragionevoli se solo aveste la compiacenza di paragonare il danno, ben più grave, di centinaia di vittime dovute ad una semplice palma con l’affetto, sentimento che ben s’addice ad ingenui e puri bambini, che dei teneri ma inconsapevoli fanciulli, detengono per un albero. Del resto se e come una palma possa arrecare seri inconvenienti alla viabilità ed alla sicurezza, è oggetto di approfonditi studi di nostra competenza, e quando dico “nostra” alludo a eruditi e rispettabili professionisti. Quel che a voi sembra, ben poco congrua con l’effettività dei nostri calcoli, nei quali spero voi non vogliate davvero entrare nel merito. E, davvero poco c’entra, in tutto questo, il pur lusinghiero film con Totò, se solo pensaste ad un convoglio che deraglia, portando con sé, dall’altra parte del mondo, una striscia di sangue e la paura di tanti occhi, coi loro grassi panini. Da troppo tempo, forse il vostro bambino è assente alla finestra di questa via. Ma la sua malinconia, tutta quella troppa aria che è il solo incubo che vi arriva sul bordo della finestra quando è la stagione delle piogge ed il cuore a pelo galleggia, è la via di transito di questo mondo nuovo. I convogli – sente e vede se esce di casa o dal balcone – portano stipati i progressi ammazzettati in blocchi di dinamo e sale. Ed occorre molto vuoto per questo transito che sfila via silenzioso sulle rotaie. Magari il sacrificio di una palma, e voi certo capirete è poca cosa. Mi dispiace per vostro bambino, mi spiace soprattutto, al di là della palma, della quale saprà farsene ragione, che sia così tanto ammalato. Eppure, anch’io so, come suo figlio che piange dagli occhioni, qui so, dal tavolo mezzo di legno, e mezzo di cavi, che non verrà più nulla, su un convoglio, o su un treno, a sostituire quella palma. Forse perché nulla che di qui passa ha la pazienza di esitare, soffermarsi. Non nutra fiducia in un fischio ininterrotto, che non ha i tempi del sonno e della veglia. Neppure il mio cuore ne ha più i tempi, e fischia. Per un caffè che alla sua linea di confine, del tal dei tali binario, tal di tali casello della linea Roma-Torino, si ripete inguaribile ogni mattina. Sa che lo vedo, suo figlio col mento sulla mano e sulla finestra che mira la palma, sparsa macchia nel cielo, e più del fumo, coi venti che soffiano dietro, alla sua triste danza. Non verrà treno a toglierla, non verrà sole a morirla, non verrà notte a coprirne il sorriso e le mosse, non verrà umido da seccarla, o cuore ad abbatterla, non verrò io, col mio copricapo di fuoco e la zozza sega. Lo dica al suo bambino, che finché mi sarà pieno il bicchiere di silenzio, le gambe non mi porteranno ad osare il mio dovere. Non vorrò mai farlo. Mi saluti Giosefine e baci per me la prima bella giornata di sole.



Il ministro dei trasporti»



(elisa santucci)

Thursday, June 16, 2011

Agamben´s Revision: das Naturtheater

























Hi guys... I know, many parts are leider leider in Italian. At the time I "wrote" this text, Il Regno e la Gloria by Agamben had not been translated yet... Therefore all the quotes from it are still in Italian. Of course, if someone fell in love with this text I would happily look for the German quotes now (now that Il Regno... has been finally translated)... Well... I hope you enjoy!




Agamben´s Revision: das Naturtheater



dem Görlitzerpark gewidmet, im Frühling 2007.


Due Grazie almeno. Per Karin, le cui storie entusiasmano,


e a Scott, che vi ha letto attraverso quasi senza leggere





Plot summary:


Nach einer glücklichen, jedoch für mich sehr beschwerlichen Seefahrt, erreichten wir endlich den Hafen. [Von Chamisso, Peter Schlemihls wundersame Geschichte]


Nach einer blitzartigen Fahrt erreicht Karl Roßmann am Anfang das Naturtheater. Viele Schauspieler, unter ihnen auch Karl, betreten die Naturbühne, an der der verhüllte Reichstag liegt.






Karl sah an einer Straßenecke ein Plakat mit folgender Aufschrift: »Auf dem Rennplatz in Clayton wird heute von sechs Uhr früh bis Mitternacht Personal für das Theater in Oklahoma aufgenommen! [Kafka, Amerika, Benjamin, Franz Kafka, 230]



Durchsichtig, lauter, geradezu charakterlos ist Karl Roßmann in dem Sinne nämlich, in dem Franz Rosenzweig in seinem Stern der Erlösung sagt, in China sei der innere Mensch „geradezu charakterlos…“ [Benjamin, Franz Kafka, 231 Rosenzweig, Der Stern der Erlösung]



Das große Theater von Oklahoma ruft euch! Es ruft nur heute, nur einmal! Wer jetzt die Gelegenheit versäumt, versäumt sie für immer! Wer an seine Zukunft denkt, gehört zu uns! [Kafka, Amerika, Benjamin, Franz Kafka, 230]



„…Etwas ganz andres als Charakter ist es, was den chinesischen Menschen auszeichnet: eine ganz elementare Reinheit des Gefühls.“ [Rosenzweig, Der Stern der Erlösung, Benjamin, Franz Kafka, 231]



Jeder ist willkommen! [Kafka, Amerika, Benjamin, Franz Kafka, 230]



Jeder wird auf dem Naturtheater von Oklahoma eingestellt. Nach welchen Maßstäben die Aufnahme erfolgt, ist nicht zu enträtseln. Die schauspielerische Eignung, an die man zuerst denken sollte, spielt scheinbar gar keine Rolle. Man kann das aber auch so ausdrücken: den Bewerben wird überhaupt nichts anderes zugetraut, als sich zu spielen. Daß sie im Ernstfall sein könnten, was sie angeben, schaltet aus dem Bereich der Möglichkeit aus. [Benjamin, Franz Kafka, 235, 236]



Wer Künstler werden will, melde sich! Wir sind das Theater, das jeden brauchen kann, jeden an seinem Ort! Wer sich für uns entschieden hat, den beglückwünschen wir gleich hier! [Kafka, Amerika, Benjamin, Franz Kafka, 230]



Eine der bedeutsamsten Funktionen dieses Naturtheaters ist die Auflösung des Geschehens in das Gestische. [Benjamin, Franz Kafka, 235, 236]



Aber beeilt euch, damit ihr bis Mitternacht vorgelassen werdet! Um zwölf Uhr wird alles geschlossen und nicht mehr geöffnet! Verflucht sei, wer uns nicht glaubt! Auf nach Clayton!« [Kafka, Amerika, Benjamin, Franz Kafka, 230]



Wenn man doch ein Indianer wäre, gleich bereit, und auf dem rennenden Pferde, schief in der Luft, immer wieder kurz erzitterte über dem zitternden Boden, bis man die Sporen ließ, denn es gab keine Sporen, bis man die Zügel wegwarf, denn es gab keine Zügel, und kaum das Land vor sich als glatt gemähte Heide sah, schon ohne Pferdehals und Pferdekopf. [Kafka, Benjamin, Franz Kafka, 229, 230]



Karl Roßmann, die dritte und glücklichere Inkarnation des K.. [Benjamin, Franz Kafka, 230]



Zuerst dachte er daran, zu Fuß nach Clayton zu gehen, aber das wären drei Stunden angestrengten Marsches gewesen… Karl sah ein, daß er entweder auf die Stelle verzichten oder fahren mußte. Er überrechnete sein Geld, es hätte ohne diese Fahrt für acht Tage gereicht, er schob die kleinen Münzen auf der flachen Hand hin und her. [Kafka, Amerika]



Interessant ist der Vergleich dieser beiden Wjatka-Puppen. Das Pferd, das auf dem einen Modell noch sichtbar ist, ist auf dem nebenstehenden schon mit dem Manne verschmolzen. [Benjamin, Ms. 617, GS, IV, 2, 624, Abbildung 29]



Beliebig ist ein Ding mit allen seinen Eigenschaften, von denen jedoch keine eine Differenz erzeugt… [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 23]



Genius nannten die alten Römer den Gott, dessen Schutz jeder Mensch bei seiner Geburt anvertraut wird… Deshalb kann der Geburtstag nicht die Erinnerungsfeier eines vergangenen Tages sein, sondern, wie jedes wahre Fest, eine Aufhebung der Zeit, Epiphanie und Anwesenheit des Genius. Es ist diese Anwesenheit, die wir nicht von uns wegschieben können, die uns daran hindert, uns in einer substantiellen Identität abzukapseln, es ist Genius, der den Anspruch des Ichs, sich selbst zu genügen, in Stücke schlägt… Genius ist unser Leben, insofern es uns nicht gehört… Die Art und Weise, wie sich jeder von Genius wegzuwenden, ihm zu entkommen sucht, macht seinen Charakter aus. Es ist die Grimasse… [Agamben, Profanierungen, 7, 10, 11, 15]



Derart ist auch der philosophische Lehrsatz des Mittelalters zu verstehen, dem zufolge der Übergang von der Potenz zum Akt, von der gemeinsamen Form zur Singularität kein ein für allemal abgeschlossenes Ereignis ist, sondern eine unendliche Reihe modaler Oszillationen. Die Individuierung einer singulären Existenz ist kein punktuelles Faktum, sonder eine linea generationis substantiae, die beständig zwischen Anwachsen und Nachlassen, zwischen Aneignung und Uneigentlichkeit schwankt. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 24]



Diese Abstufung, die im Inneren des geistigen Wesens selbst stattfindet, läßt sich unter keine obere Kategorie mehr fassen, sie führt daher auf die Abstufung aller geistigen wie sprachlichen Wesen nach Existenzgraden oder nach Seinsgraden, wie sie bezüglich der geistigen schon die Scholastik gewohnt war. [Benjamin, Über die Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, 32, 33]



…Im Namen teilt das geistige Wesen des Menschen sich Gott mit. [Benjamin, Über die Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, 30]



Die Gestalt der Linie ist keinesfalls zufällig. Man denke an die Linie, die der Schreibende zieht… [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 23, 24]



Its exposed failing is its own proper touch, its honour and its grace… [Nancy, The


Muses, 72, 73]



Man denke an Dostojewskijs Idioten, den Fürsten Myschkin, der mühelos jedwede Schrift nachahmen und in fremden Namen unterschreiben kann („Abt Pafnutij hat dies in Demut mit eigener Hand unterzeichnet“): in seiner Kalligraphie werden das besondere und das Gattungsspezifische ununterscheidbar. Und eben das ist „Idiotie“, d.h. die Eigenheit des Beliebigen. Der Übergang von der Potenz zum Akt, von der Sprache zum gesprochenen Wort, vom Gemeinsamen zum Eigenen folgt der Bahn einer vielsinnigen, flimmernden Linie, in der allgemeine Natur und Singularität, Potenz und Akt ineinander umschlagen und sich gegenseitig durchdringen. Das Sein, das auf dieser Linie entsteht, ist das beliebige Sein und die Weise, auf die es vom Gemeinsamen zum Eigenen und vom Eigenen zum Gemeinsamen übergeht, nennt man Gebrauch – oder auch ethos. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 24, 25, Dostojewskij, Idioten]



„Es war im Sommer,“ so beginnt der Schlag ans Hoftor, „ein heißer Tag. Ich kam auf dem Nachhauseweg mit meiner Schwester an einem Hoftor vorüber. Ich weiß nicht, schlug sie aus Mutwillen ans Tor oder aus Zerstreutheit oder drohte sie nur mit der Faust und schlug gar nicht.“ Die bloße Möglichkeit des an der dritten Stelle erwähnten Vorgangs läßt die vorangehenden, die zunächst harmlos erschienen, in ein anderes Licht treten. [Benjamin, Franz Kafka, 241, 242, Kafka, Schlag ans Hoftor]



Kein Dichter hat das „Du sollst Dir kein Bildnis machen“ so genau befolgt. [Benjamin, Franz Kafka, 241]



Für Karl stand aber doch in dem Plakat eine große Verlockung. »Jeder war willkommen«, hieß es. Jeder, also auch Karl. [Kafka, Amerika]



Nicht die Indifferenz der allgemeinen Natur der Singularität gegenüber, sondern die Indifferenz von Allgemeinem und Eigenem, von Gattung und Art, von Wesentlichem und Nebensächlichem bringt das Beliebige hervor… Das Beispiel ist einzig das Sein, dessen Beispiel es ist: doch dieses Sein gehört ihm nicht an, es ist im wahrsten Sinne des Wortes gemein. Die Uneigentlichkeit, die wir als unser eigenstes Sein zur Schau stellen, die Manier, die wir gebrauchen, bringt uns hervor; sie ist unsere zweite, glücklichere Natur. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 23, 32, 33]



KEHRE ZURÜCK! ALLES VERGEBEN!


Wie einer, der am Reck die Riesenwelle schlägt, so schlägt man selber als Junge das Glücksrad, aus dem dann früher oder später das große Los fällt. Denn einzig, was wir schon mit fünfzehn wußten oder übten, macht eines Tages unsere Attrativa aus. Und darum läßt sich eines nie wieder gutmachen: versäumt zu haben, seinen Eltern fortzulaufen. Aus achtundvierzig Stunden Preisgegebenheit in diesen Jahren schießt wie in einer Lauge der Kristall des Lebensglücks zusammen. [Benjamin, Einbahnstraße, 78]



„Wenn man doch ein Indianer wäre...“ Vieles ist in diesem Wunsche enthalten. Die Erfüllung gibt sein Geheimnis preis. Er findet sie in Amerika. Daß es mit Amerika eine besondere Bewandtnis hat, geht aus dem Namen des Helden hervor. [Kafka, Benjamin, Franz Kafka, 229, 230]



Der geheime Name ist in Wirklichkeit die Geste, mit der das Geschöpf dem Unausgedruckten zurückgegeben wird. In der letzten Instanz ist die Zauberei nicht die Kenntnis der Namen, sondern eine Geste, die Entzauberung vom Namen. Deshalb ist ein Kind nie so glücklich, wie wenn es sich seine Geheimsprache erfindet. [Agamben, Profanierungen, 50]



Wo ist Mathurin Milan? Wo ist Jean-Antoine Touzard? [Agamben, Profanierungen, 63]



Wirkliche Leben sind in diesen wenigen Sätzen „auf Spiel gesetzt“ (jouées) worden; ich will damit nicht behaupten, daß de facto darin ihre Freiheit, ihr Unglück und häufig ihr Tod, ihr Schicksal jedenfalls, zumindest teilweise, entschieden worden sind. Diese Diskurse haben wirklich Leben durchkreuzt; diese Existenzen sind in den Worten tatsächlich gewagt und verloren worden. [Foucault, Das Leben der infamen Menschen, Agamben, Profanierungen, 63]



Wer hat die Leben aufs Spiel gesetzt? Die Infamen selbst, indem sie sich rückhaltlos entweder, wie Mathurin Milan, dem Vagabundieren oder, wie Jean-Antoine Touzard, der sodomitischen Leidenschaft hingaben? Oder eher, was wahrscheinlicher erscheint, die Verschwörung der Angehörigen und der anonymen Beamten, Kanzleischreiber und Polizisten, die zu ihrer Internierung führte? Das infame Leben scheint weder den namentlich Aufgezeichneten, die es am Ende zu verantworten haben, noch der Beamten der Macht, die ebenso am Ende über dieses Leben entscheiden werden. Es wird nur aufs Spiel gesetzt, nie besessen, nie dargestellt, nie gesagt – deshalb ist es der mögliche, aber leere Ort einer Ethik, einer Form des Lebens. [Agamben, Profanierungen, 64]



Cocteau hat gesehen, was jeden Leser Prousts im höchsten Grade beschäftigen sollte: er sah das blinde, unsinnige und besessene Glücksverlangen in diesem Menschen. Es leuchtete aus seinen Blicken. Die waren nicht glücklich. Aber in ihnen saß das Glück wie im Spiel oder in der Liebe. [Benjamin, Zum Bilde Prousts, 167]



Aufs Spiel gesetzt, nicht ausgedrückt; aufs Spiel gesetzt, nicht erfüllt. [Agamben, Profanierungen, 66]



Im Ausdruckslosen erscheint die erhabne Gewalt des Wahren, wie es nach Gesetzen der moralischen Welt die Sprache der wirklichen bestimmt. [Benjamin, Goethes Wahlverwandtschaften, GS, I, 1, 181]



Wo ist Mathurin Milan? Wo ist Jean-Antoine Touzard? Nicht in den lakonischen Aufzeichnungen, die deren Anwesenheit im Archiv der Schande registrieren. Und auch nicht außerhalb des Archivs in einer biographischen Wirklichkeit, von der wir buchstäblich nichts wissen. [Agamben, Profanierungen, 63]



Das Beispiel ist also weder besonders noch allgemein, sondern sozusagen ein singulärer Gegenstand, der sich als solcher zu erkennen gibt, der seine Singularität zeigt. Para-deigma… (was im deutschen Wort Bei-spiel ebenfalls anklingt). Denn der eigentliche Ort des Beispiels ist immer neben ihm, im leeren Raum, in dem sich sein qualitätsloses, unvergessliches Leben abspielt. Dieses Leben ist ein rein sprachliches Leben. Qualitätslos, unvergesslich ist das Leben nur im Wort. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 15]



Kafka war auch ein Paraboliker. [Benjamin, Franz Kafka, 237]



Eine Welt schließlich, in der ich nicht glaube, daß jener bestimmte Mensch Jesus der Messias ist –der einzige Sohn Gottes, geworden und nicht geschaffen, konsubstantiell mit dem Vater,– sondern in der ich ganz einfach an Jesus Messias glaube. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 144]



Man muß gewiß davon ausgehen, daß dieser Glaube bei Paulus zuallererst eine Erfahrung des Wortes ist. „Der Glaube aus dem Hören, das Hören durch das Wort des Messias.“ [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 144]



Atticus´ Definition der Idee lautet: „paraitia tou einai toiauta ecasth´ oiaper esti“. Demzufolge ist sie nicht Ursache, sondern Mit- oder Nebenursache jeder Sache und bezieht sich nicht einfach auf das Sein, sondern ein Sein-wie-es-ist… Die Existenz der Idee ist eine beispielhafte Existenz: das Sich-Zeigen jeder Sache neben sich selbst (para-deigma). [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 94, 95]



Das Wort entfaltet ist aber doppelsinnig. Entfaltet sich die Knospe zur Blüte, so entfaltet sich das aus Papier gekniffte Boot, das man Kindern zu machen beibringt, zum glatten Blatt. Und diese zweite Art Entfaltung ist der Parabel eigentlich angemessen, des Lesers Vergnügen, sie zu glätten, so daß ihre Bedeutung auf der flachen Hand liegt. Kafkas Parabeln entfalten sich aber im ersten Sinne; nämlich wie die Knospe zur Blüte wird. Darum ist ihr Produkt der Dichtung ähnlich. Das hindert nicht, daß seine Stücke nicht gänzlich in die Prosaformen des Abendlandes eingehen und zur Lehre ähnlich wie die Haggadah zur Halacha stehen. Sie sind nicht Gleichnisse und wollen doch auch nicht für sich genommen sein… [Benjamin, Franz Kafka, 233]



Der Ausdruck Parabel stammt von (gr.) parabolé (in Luthers Übersetzung Gleichins). [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 54]



…Sie sind derart beschaffen, daß man sie zitieren, zur Erläuterung erzählen kann. [Benjamin, Franz Kafka, 233]



Wer ein Wort in Anführungszeichen setzt, kann sich nicht mehr von ihm befreien: aus dem Schwung seiner Bedeutung gerissen, über einer Leere hängend, wird es unersetzlich – oder besser, es lässt sich nicht mehr verabschieden. So verrät die Zunahme der Anführungszeichen das Unbehagen unserer Zeit an der Sprache: sie stellen die – dünnen, obschon undurchbrechbaren – Mauern unserer Gefangenschaft im Wort dar. In dem Kreis, den die Anführungszeichen um die Vokabel ziehen, ist auch der Sprechende gefangen. [Agamben, Idee der Prosa, 101, 102]



Besitzen wir die Lehre aber, die von Kafkas Gleichnissen begleitet und in den Gesten K.´s und den Gebärden seiner Tiere erläutert wird? Sie ist nicht da; wir können höchstens sagen, daß dies und jenes auf sie anspielt. Kafka hätte vielleicht gesagt: als ihr Relikt sie überliefert; wir aber können ebenso wohl sagen: sie als ihr Vorläufer vorbereitet. In jedem Falle handelt es sich dabei um die Frage der Organisation des Lebens und der Arbeit in der menschlichen Gemeinschaft. Diese hat Kafka umso stetiger beschäftigt, als sie ihm undurchschaubar geworden ist. [Benjamin, Franz Kafka, 233]



Jeder Gedanke muß, um sich als solcher zu erfüllen – d.h., um sich auf etwas beziehen zu können, das außerhalb seiner selbst liegt-, gänzlich in die Sprache eingehen: eine Menschheit, die nur in Anführungszeichen sprechen könnte, wäre eine unglückliche Menschheit, die vor lauter Denken die Fähigkeit verloren hätte, das Denken zu vollenden. [Agamben, Idee der Prosa, 102]



Die Anführungszeichen ziehen sich um den Hals des beschuldigten Begriffs zusammen, so lange, bis er erstickt. In dem Augenblick, wo er allen Sinns entleert scheint und den letzten Atem aushaucht, verwandeln sich die kleinen Henker, beruhigt und verstört, in jenes Komma zurück, dem sie entstammten und das, nach Isidors Definition, den Rhythmus des Atems in der Bedeutung anzeigt. [Agamben, Idee der Prosa, 102]



»Einen Text zitieren, schließt ein: seinen Zusammenhang unterbrechen.« (Benjamin GS, II/2, S. 536). [Benjamin, Agamben, Die Zeit, die bleibt, 154]



Das Verb Sperren bezeichnet in der Typographie die – nicht nur deutsche – Konvention, zwischen den Buchstaben eines Wortes, das man hervorheben will, mehr Raum zu lassen, statt es zu kursivieren. Immer wenn Benjamin die Schreibmaschine in seinen Dienst nimmt, greift er auf diese Konvention zurück. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 154]



Die gesperrten Ausdrücke hingegen werden sozusagen hypergelesen, zweimal gelesen. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 154]



Wenn man einen Blick auf das Handexemplar der Thesen wirft, so kann man sehen, daß Benjamin schon in der zweiten These auf diese Konvention zurückgreift. In der vierten Zeile von unten kann man lesen: Dann ist uns wie jedem Geschlecht, das vor uns war, eine s c h w a c h e messianische Kraft mitgegeben. Warum ist schwache gesperrt? Welche Art der Zitierbarkeit steht zur Diskussion? [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 154]



Messianisch und schwach ist jene Potenz des Sagens, die sich in der Nähe des Wortes hält und nicht nur alles Gesagte, sondern auch den Akt des Sagens selbst, die performative Kraft der Sprache selbst überschreitet. Sie ist jener Rest einer Potenz, der sich im Akt nicht erschöpft, sondern immer wieder bewahrt wird und in ihm zurückbleibt. Wenn dieser Rest einer Potenz in diesem Sinn schwach ist, wenn er weder in ein Wissen oder in ein Dogma überführt werden noch als Recht gelten kann, so ist er doch weder passiv noch untätig: Im Gegenteil agiert er genau durch seine Schwäche und macht das Wort des Gesetzes unwirksam, indem er Rechts- und Wirklichkeitszustände fallenläßt. Genau dadurch wird der Rest fähig, diese Zustände frei zu gebrauchen. Daß diese Potenz aber ihr telos in der Schwäche hat, bedeutet, daß sie nicht einfach in einem unendlichen Aufschub aufgehoben ist. Vielmehr richtet sie sich auf sich selbst und erfüllt und deaktiviert den Überschub des Bedeutens über jede Bedeutung, sie löscht die Sprachen (I Kor 13,8). Auf diese Weise ist sie Zeuge dessen, was im Gebrauch für immer unausgesprochen und unbedeutend nahe beim Wort bleibt. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 152]



»Seine Gebärden muß der Schauspieler sperren können wie ein Setzer die Worte.« (Ebd.) [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 154]



Vielleicht sind diese Studien ein Nichts gewesen. Sie stehen aber jenem Nichts sehr nahe, das das Etwas erst brauchbar macht – dem Tao nämlich. Ihm ging Kafka mit seinem Wunsch nach, „einen Tisch mit peinlich ordentlicher Handwerksmäßigkeit zusammenzuhämmern und dabei gleichzeitig nichts zu tun and zwar nicht so, daß man sagen könnte: >Ihm ist das Hämmern ein Nichts<, sondern >Ihm ist das Hämmern ein wirkliches Hämmern und gleichzeitig auch ein Nichts<, wodurch ja das Hämmern noch kühner, noch entschlossener, noch wirklicher und, wenn du willst, noch irrsinniger geworden wäre.“ [Benjamin, Franz Kafka, 248, Kafka]



Im Zeitalter der aufs Höchste gesteigerten Entfremdung der Mensch voneinander, der unabsehbar vermittelten Beziehungen, die ihre einzigen wurden, sind Film und Grammophon erfunden worden. Im Film erkennt der Mensch den eigenen Gang nicht, im Grammophon nicht die eigene Stimme. Experimente beweisen das. Die Lage der Versuchperson in diesen Experimenten ist Kafkas Lage. Sie ist es, di ihn auf das Studium anweist. Vielleicht stößt er dabei auf Fragmente des eigenen Daseins, welche noch im Zusammenhang der Rolle stehen. [Benjamin, Franz Kafka, 249]



„>Oft diktiert der Beamte so leise, daß der Schreiber es sitzend gar nicht hören kann, dann muß er immer aufspringen, das Diktierte auffangen, schnell sich setzen und es aufschreiben, dann wieder aufspringen und so weiter. Wie merkwürdig das ist! Es ist fast unverständlich.<“ Vielleicht verstehet man es aber besser, wenn man an die Schauspieler des Naturtheaters zurückdenkt. [Kafka, Benjamin, Franz Kafka, 248]



Karl sah ein, daß er entweder auf die Stelle verzichten oder fahren mußte. Er überrechnete sein Geld… Ein Herr, der ihn beobachtet hatte, klopfte ihm auf die Schulter und sagte: »Viel Glück zur Fahrt nach Clayton.« Karl nickte stumm und rechnete weiter. [Kafka, Amerika]



Diese Gehilfen (wuzara, der Plural von wazir; das ist der Wesir, dem wir so oft in Tausendundeiner Nacht begegnet sind) sind Männer, die in der profanen Zeit schon die Kennzeichen der messianischen Zeit an sich haben, schon dem letzten Tag angehören. [Agamben, Profanierungen, 26]



„>…Wie merkwürdig das ist! Es ist fast unverständlich. <“ Vielleicht verstehet man es aber besser, wenn man an die Schauspieler des Naturtheaters zurückdenkt. Schauspieler müssen blitzschnell auf ihr Stichwort aufpassen. Und sie ähneln diesen Beflissenen auch sonst. Für sie ist in der Tat „>das Hämmern ein wirkliches Hämmern und gleichzeitig auch ein Nichts<“ – wenn es nämlich in ihrer Rolle steht. Diese Rolle studieren sie; der wäre ein schlechter Schauspieler, der ein Wort oder ein Gestus aus ihr vergäße. Für die Glieder der Truppe von Oklahoma aber ist sie ihr früheres Leben. Daher die Natur dieses Naturtheaters. Seine Schauspieler sind erlöst. Der Student aber ist es noch nicht… [Kafka, Benjamin, Franz Kafka, 248]



Vor dem Gesetz steht ein Türhüter. Zu diesem Türhüter kommt ein Mann vom Lande und bittet um Eintritt in das Gesetz. Aber der Türhüter sagt, daß er ihm jetzt den Eintritt nicht gewähren könne. Der Mann überlegt und fragt dann, ob er also später werde eintreten dürfen. »Es ist möglich«, sagt der Türhüter, »jetzt aber nicht.« [Kafka, Vor dem Gesetz]



Das Tröpfchen Licht, das bei unseren Fehlern und unseren kleinen Gemeinheiten hervortritt, war nichts anderes als die Erlösung. Gehilfen waren in diesem Sinn auch der böse Schulkamerad, der uns unter der Bank die ersten pornographischen Fotos zuschob, oder die schmutzige Abstellkammer, in der uns jemand zum erstenmal seine Nacktheit zeigte. Die Gehilfen sind unsere unerfüllten Wünsche, diejenigen, die wir uns nicht einmal selbst gestehen, die uns am Tag des Jüngsten Gerichts entgegenkommen werden, lächelnd wie Artur und Jeremias. An jenem Tag wird uns jemand unser Erröten als Wechsel für das Paradies einlösen. Herrschen heißt nicht erhören. Es heißt, daß das Unerfüllte das Bleibende ist. [Agamben, Profanierungen, 28, 29]



Der Gehilfe ist die Gestalt dessen, was man verliert. [Agamben, Profanierungen, 29]



Er buchstabiert den Text des Unvergesslichen und übersetzt ihn in die Sprache der Taubstummen. Daher sein beharrliches Gebärdenspiel, daher sein unerschütterliches Mimengesicht. Daher auch seine unheilbare Zweideutigkeit. Denn vom Unvergesslichen wird nur die Parodie gegeben. Der Platz des Gesangs ist leer. Daneben und ringsherum machen sich die Gehilfen zu schaffen, die das Reich vorbereiten. [Agamben, Profanierungen, 29]



Indische Sagen kennen die Gandharwe, unfertige Geschöpfe, Wesen im Nebelstadium. Von ihrer Art sind die Gehilfen Kafkas; keinem der anderen Gestaltenkreise zugehörig, keinem fremd: die Boten, die zwischen ihnen geschäftig sind. Sie sehen, wie Kafka sagt, dem Barnabas ähnlich, und der ist ein Bote. [Benjamin, Franz Kafka, 227]



Besitzen wir die Lehre aber, die von Kafkas Gleichnissen begleitet und in den Gesten K.´s und den Gebärden seiner Tiere erläutert wird? Sie ist nicht da; wir können höchstens sagen, daß dies und jenes auf sie anspielt. Kafka hätte vielleicht gesagt: als ihr Relikt sie überliefert; wir aber können ebenso wohl sagen: sie als ihr Vorläufer vorbereitet. [Benjamin, Franz Kafka, 233]



Man muß an die Kinder denken: wie ungern gehen sie zu Bett! während sie schlafen, könnte doch etwas vorkommen, was sie beansprucht. „Vergiß das Beste nicht!“ lautet eine Bemerkung, „die uns aus einer unklaren Fülle alter Erzählungen geläufig ist, trotzdem sie vielleicht in keiner vorkommt.“ Aber das Vergessen betrifft immer das Beste, denn es betrifft die Möglichkeit der Erlösung. [Benjamin, Franz Kafka, 247, Kafka]



– Bei ihren Studien wachen die Studenten, und vielleicht ist es die Beste Tugend der Studien, sie wachzuhalten. [Benjamin, Franz Kafka, 247]



Ein Mittelwesen zwischen den wuzara und den Gehilfen Kafkas ist das bucklicht Männlein, das Benjamin in seinen Kindheitserinnerungen heraufbeschwört. Dieser „Insasse des entstellten Lebens“ ist nicht nur ein Zeichen für die kindliche Ungeschicklichkeit, nicht nur der Dieb, der dem, der trinken will, das Glas stiehlt, und das Gebet dem, der beten will. Sondern, „wen dieses Männlein ansieht, gibt nicht acht“. Nicht auf sich und auf das Männlein auch nicht. Der Bucklige ist nämlich der Repräsentant des Vergessenen, der auftritt, um von jedem Ding den Teil des Vergessens zu verlangen. Und dieser Teil hat mit dem Ende der Zeiten zu tun, so wie die Unachtsamkeit nur eine Vorwegnahme der Erlösung ist. [Agamben, Profanierungen, 27, 28, Benjamin]



…Bet´ für´s bucklicht Männlein mit! [Volkslied, Benjamin, Franz Kafka, 245]



…Es wird verschwinden, wenn der Messias kommt, von dem ein großer Rabbi gesagt hat, daß er nicht mit Gewalt die Welt verändern wolle, sondern nur um ein Geringes sie zurechtstellen werde. [Benjamin, Franz Kafka, 245]



Wenn Kafka nicht gebetet hat – was wir nicht wissen – so war ihm doch aufs höchste eigen, was Malebranche „das natürliche Gebet der Seele“ nennt – die Aufmerksamkeit. Und in sie hat er, wie die Heiligen in ihre Gebete, alle Kreatur eingeschlossen. [Benjamin, Franz Kafka, 245]



Er würde sich verstehen, aber wie riesenhaft wäre die Anstrengung! Denn es ist ja ein Sturm, der aus dem Vergessen herweht. Und das Studium ein Ritt, der dagegen angeht. [Benjamin, Franz Kafka, 249]



Karl nickte stumm und rechnete weiter. Aber er entschloß sich bald, teilte das für die Fahrt notwendige Geld ab und lief zur Untergrundbahn. [Kafka, Amerika]



Das Tempo aber, jene Schnelligkeit im Lesen oder Schreiben… [Benjamin, Lehre vom Ähnlichen, 63]



Anima mia, fa' in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri. E con la gente / (ti prego, sii prudente) / non ti fermare a parlare / smettendo di pedalare. // Arriverai a Livorno, / vedrai, prima di giorno. [Caproni, Ultima Preghiera]



…Fa' un giro; e, se n'hai il tempo, / perlustra e scruta e scrivi / se per caso Anna Picchi / è ancor viva tra i vivi. [Caproni, Preghiera]



Sie bietet sich dem Auge ebenso flüchtig, vorübergehend wie eine Gestirnkonstellation. Die Wahrnehmung von Ähnlichkeit also scheint an ein Zeitmoment gebunden. [Benjamin, Lehre vom Ähnlichen, 60]



Das wahre Bild der Vergangenheit huscht vorbei… [Benjamin, Agamben, Die Zeit, die bliebt, 158]



Aufblitzt [Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, 667]



In einem alten Kinderverse kommt die Muhme Rehlen vor. Weil mir nun „Mhume“ nichts sagte, wurde dies Geschöpf für mich zu einem Geist: der Mummerehlen. Das Mißverstehen verstellte mir die Welt. Jedoch auf gute Art; es wies die Wege, die in ihr Inneres führten. Ein jeder Anstoß war ihm recht. So wollte der Zufall, daß in meinem Beisein einmal von Kupferstichen war gesprochen worden. Am Tag darauf steckte ich unterm Stuhl den Kopf hervor: das war ein „Kopf-verstich“. Wenn ich dabei mich und das Wort entstellte, tat ich nur, was ich tun mußte, um im Leben Fuß zu fassen. Beizeiten lernte ich es, in die Worte, die eigentlich Wolken waren, mich zu mummen. [Benjamin, Berliner Kindheit um Neunzehnhundert, GS, IV, 1, 261]



Als er in Clayton ausstieg, hörte er gleich den Lärm vieler Trompeten. [Kafka, Amerika]



Das Recht, das nicht mehr praktiziert und nur studiert wird, das ist die Pforte der Gerechtigkeit. [Benjamin, Franz Kafka, 250]



...Als er aus dem Stationsgebäude trat und die ganze Anlage vor sich überblickte, sah er, daß alles noch größer war, als er nur irgendwie hatte denken können, und er begriff nicht, wie ein Unternehmen nur zu dem Zweck, um Personal zu erhalten, derartige Aufwendungen machten konnte. Vor dem Eingang zum Rennplatz war ein langes, niedriges Podium aufgebaut, auf dem Hunderte von Frauen, als Engel gekleidet, in weißen Tüchern mit großen Flügeln am Rücken, auf langen, goldglänzenden Trompeten bliesen. Sie waren aber nicht unmittelbar auf dem Podium, sondern jede stand auf einem Postament, das aber nicht zu sehen war, denn die langen wehenden Tücher der Engelkleidung hüllten es vollständig ein. Da nun die Postamente sehr hoch, wohl bis zwei Meter hoch waren, sahen die Gestalten der Frauen riesenhaft aus, nur ihre kleinen Köpfe störten ein wenig den Eindruck der Größe, auch ihr gelöstes Haar hing zu kurz und fast lächerlich zwischen den großen Flügeln und an den Seiten hinab. Damit keine Einförmigkeit entstehe, hatte man Postamente in der verschiedensten Größe verwendet; es gab ganz niedrige Frauen, nicht weit über Lebensgröße, aber neben ihnen schwangen sich andere Frauen in solche Höhe hinauf, daß man sie beim leichtesten Windstoß in Gefahr glaubte. Und nun bliesen alle diese Frauen. [Kafka, Amerika]



Der Augenblick der Geburt, der hier entscheiden soll, ist aber ein Nu. Das lenkt den Blick auf eine andere Eigentümlichkeit im Bereiche der Ähnlichkeit. Ihre Wahrnehmung ist in jedem Fall an ein Aufblitzen gebunden. Sie huscht vorbei, ist vielleicht wiederzugewinnen, aber kann nicht eigentlich wie andere Wahrnehmungen festgehalten werden. Sie bietet sich dem Auge ebenso flüchtig, vorübergehend wie eine Gestirnkonstellation. Die Wahrnehmung von Ähnlichkeit also scheint an ein Zeitmoment gebunden. [Benjamin, Lehre vom Ähnlichen, 60]



Nur ein einziger älterer Mann war zu sehen, er stand ein wenig abseits. Er hatte gleich auch seine Frau und ein Kind im Kinderwagen mitgebracht... Er trat in die Nähe des Mannes, hörte ein wenig den Trompeten zu und sagte dann: »Hier ist doch die Aufnahmestelle für das Theater von Oklahoma?« [Kafka, Amerika]



Die Gabe, Ähnlichkeiten hervozubringen – zum Beispiel in den Tänzen, deren älteste Funktion das ist… [Benjamin, Über das mimetische Vermögen, 64]



»Könnten Sie nicht in die Rennbahn hinübergehen und fragen, wo die Aufnahme stattfindet?« »Ja«, sagte Karl, »aber ich müßte über das Podium gehen, zwischen den Engeln durch.« [Kafka, Amerika]



Die Gabe, Ähnlichkeit zu sehn, die wir besitzen, ist ja nichts als ein schwaches Rudiment des ehemals gewaltigen Zwanges, ähnlich zu werden und sich zu verhalten. [Benjamin, Zur „Lampe“, GS, VII, 2, 792]



Vielleicht, wahrscheinlich daß die Bildekräfte, die die Spätgebornen kennen, nicht mehr so ins Weite auszugreifen fähig sind. Und irre ich mich, wenn ich meine daß sie sich in mir den Stühlen, Treppenhäusern, Schränken, Stores, ja einer Lampe angebildet haben, wie meine Kinderzeit sie um sich hatte.


So muß man damit rechnen, daß im Grunde auch Vorgänge am Himmel von den früher Lebenden nachgeahmt werden konnten. Ein Schatten davon rührt den heutigen Menschen noch an, wenn er durch eine Maske blickt, auch in der Vollmondnacht im Süden, wenn er erstorbene Kräfte einer Mimesis in seinem Inneren sich regen fühlt, indessen, in deren Vollbesitze, die Natur von seinem Blick dem Mond sich anverwandelt. [Benjamin, Zur „Lampe“, GS, VII, 2, 792]



persōna, ae f (etr. Fw.) 1. Maske; / 2. Rolle (in einem Schauspiel); 3. Rolle (im Leben); Charakter; äußere Lage, Stellung, Würde; 4. Person, Persönlichkeit; °5. (gramm. t. t.) Person {tertia} [Langenscheidts Taschenwörterbuch Lateinisch-Deutsch]



– persona: das wohindurch es hallt – [Benjamin, Karl Kraus, GS, II, 1, 347]



dē-sīderō 1 (dē; sīdus; eigtl. „von den Sternen erwarten“; cf. cōnsīderō) 1. sich sehnen nach, begehren; 2. a) vermissen, entbehren; b) verlieren; P. verloren gehen. [Langenscheidts Taschenwörterbuch Lateinisch-Deutsch]



"Die Hoffnung fuhr wie ein Stern, der vom Himmel fällt, über ihre Häupter weg." [Goethe, Benjamin, Wahlverwandtschaften, GS, I, 1, 200]



Da ist Prousts frenetisches Studium, sein passionierter Kultus der Ähnlichkeit… Zerfetzt von Heimweh lag er auf dem Bett, Heimweh nach der im Stand der Ähnlichkeit entstellten Welt, in der das wahre sürrealistische Gesicht des Daseins zum Durchbruch kommt. Ihr gehört an, was bei Proust geschieht, und wie behutsam und vornehm es auftaucht. Nämlich nie isoliert pathetisch und visionär, sondern angekündigt und vielfach gestützt eine gebrechliche kostbare Wirklichkeit tragend: das Bild. [Benjamin, Zum Bilde Prousts, 168, 169]



Das wahre Bild der Vergangenheit huscht vorbei. Nur als Bild, das auf Nimmerwiedersehen im Augenblick seiner Erkennbarkeit eben aufblitzt, ist die Vergangenheit festzuhalten. [Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, 667]



Diesem Lebenskreise entstammt, als Verfahren des Dichters, die Mimikry. Seine genauesten, evidentesten Erkenntnisse sitzen auf ihren Gegenständen wie auf Blättern, Blüten und Ästen Insekten, die nichts von ihrem Dasein verraten, bis ein Sprung, ein Flügelschlag, ein Satz dem erschreckten Betrachter zeigen, daß hier ein unberechenbares eigenes Leben unscheinbar sich in eine fremde Welt geschlichen hatte. [Benjamin, Zum Bilde Prousts, 172]



Es gibt etwas, das Kafka mit Proust gemeinsam ist, und wer weiß, ob dieses etwas sich irgendwo sonst findet. Es handelt sich um ihren Gebrauch des 'Ich.' Wenn Proust in seiner recherche du temps perdu, Kafka in seinen Tagebüchern Ich sagt, so ist das bei beiden ein gleich transparentes, ein gläsernes. Seine kammern haben keine Lokalfarbe; jeder Leser kann sie heute bewohnen und morgen ausziehen. Ausschau von ihnen halten und sich in ihnen auskennen ohne im mindesten an ihnen hängen zu müssen. In diesen Schriftstellern nimmt das Subject die Schutzfärbung des Planeten an, der in den kommenden Katastrophen ergrauen wird. [Benjamin, Ms 251, GS, II, 3]



Das Herauslesen – auf Grund von Ähnlichkeit – als die Urform des Lesens. Die Runen als Übergangsform zwischen Wipfeln, Wolken, Eingeweiden auf der einen und Buchstaben auf der andern Seite. Die magische Funktion des Alphabets: der unsinnlichen Ähnlichkeit den dauerhaften semiotischen Fond zu liefern, auf dem sie erscheinen kann. [Benjamin, Antithetisches über Wort und Name, GS, VII, 2, 796]



Die Graphologie hat gelehrt, in den Handschriften Bilder zu erkennen, die das Unbewußte des Schreibers darinnen versteckt. Es ist anzunehmen, daß der mimetische Vorgang, welcher dergestalt in der Aktivität des Schreibenden zum Ausdruck kommt, in sehr entrückten Zeiten als die Schrift entstand, von größter Bedeutung für das Schreiben gewesen ist. Die Schrift ist so, neben der Sprache, ein Archiv unsinnlicher Ähnlichkeiten, unsinnlicher Korrespondenzen geworden.


Diese Seite der Sprache wie der Schrift läuft aber nicht beziehungslos neben der anderen, der semiotischen einher. Alles Mimetische der Sprache kann vielmehr, der Flamme ähnlich, nur an einer Art von Träger in Erscheinung treten. Dieser Träger ist das Semiotische. So ist der Sinnzusammenhang der Wörter oder Sätze der Träger, an dem erst, blitzartig, die Ähnlichkeit in Erscheinung tritt. Denn ihre Erzeugung durch den Menschen ist – ebenso wie ihre Wahrnehmung durch ihn – in vielen und zumal den wichtigen Fällen an ein Aufblitzen gebunden. Sie huscht vorbei. Nicht unwahrscheinlich, daß die Schnelligkeit des Schreibens und des Lesens die Verschmelzung des Semiotischen und des Mimetischen im Sprachbereiche steigert. [Benjamin, Über das mimetische Vermögen, 66]



Gewiß ist, daß die Kindheit so uns an die Dinge kettet; ja vielleicht durchwandert sie die Dingwelt auf Stationen einer Reise, von deren Ausmaß wir uns nichts ahnen lassen. Könnte es nicht sein, daß sie bei dem Entlegensten den Anfang macht? Zuerst, im Augenblick der Geburt, dem Fernsten sich in der tiefsten unbewußten Schicht des eignen Daseins ähnlich macht, um später den Dingen seiner Umwelt Schicht für Schicht sich anzubilden, so daß, was Erziehung und Menscheneinfluß tut, nur eine Kraft im Felde vieler Wirkungskräfte ist, auf die das Kind mit jener Gabe der Mimesis erwidert, die der Menschheit in ihren frühen Zeiten eigen war und heute nur noch im Kinde ungebrochen wirkt. Die Gabe, Ähnlichkeit zu sehn, die wir besitzen, ist ja nichts als ein schwaches Rudiment des ehemals gewaltigen Zwanges, ähnlich zu werden und sich zu verhalten. [Benjamin, Zur „Lampe“, GS, VII, 2, 792]



Besitzen wir die Lehre aber, die von Kafkas Gleichnissen begleitet und in den Gesten K.´s und den Gebärden seiner Tiere erläutert wird? Sie ist nicht da. [Benjamin, Franz Kafka, 233]



Die Pforte der Gerechtigkeit ist das Studium. Und doch wagt Kafka nicht, an dieses Studium die Verheißungen zu knüpfen, welche die Überlieferung an das der Thora geschlossen hat. Seine Gehilfen sind Gemeindediener, denen das Bethaus, seine Studenten Schüler, denen die Schrift abhanden kam. Nun hält sie nichts mehr auf der „leeren fröhlichen Fahrt“. [Benjamin, Franz Kafka, 250]



Das Tempo aber, jene Schnelligkeit im Lesen oder Schreiben, welche von diesem Vorgang sich kaum trennen lässt, wäre dann gleichsam das Bemühen, die Gabe, den Geist an jenem Zeitmaß teilnehmen zu lassen, in welchem Ähnlichkeiten, flüchtig und um sogleich wieder zu versinken, aus dem Fluß der Dinge hervorblitzen. So teilt noch das profane Lesen – will es nicht schlechterdings um das Verstehen kommen – mit jedem magischen dies: daß es einem notwendigen Tempo oder vielmehr einem kritischen Augenblicke untersteht, welchen der Lesende um keinen Preis vergessen darf, will er nicht leer ausgehen. [Benjamin, Lehre vom Ähnlichen, 63]



Umkehr ist die Richtung des Studiums, die das Dasein in Schrift verwandelt. [Benjamin, Franz Kafka, 250]



„Was nie geschrieben wurde, lesen.“ Dies Lesen ist das älteste: das Lesen vor aller Sprache, aus Eingeweiden, den Sternen oder Tänzen. Später kamen Vermittlungsglieder eines neuen Lesens, Runen und Hieroglyphen in Gebrauch. Die Annahme liegt nahe, daß dies die Stationen wurden, über welche jene mimetische Begabung, die einst das Fundament der okkulten Praxis gewesen ist, in Schrift und Sprache ihren Eingang fand. Dergestalt wäre die Sprache die höchste Stufe des mimetischen Verhaltens und das vollkommenste Archiv der unsinnlichen Ähnlichkeit: ein Medium, in welches ohne Rest die früheren Kräfte mimetischer Hervorbringung und Auffassung hineingewandert sind, bis sie so weit gelangten, die der Magie zu liquidieren. [Benjamin, Über das mimetische Vermögen, 67]



...Als er aus dem Stationsgebäude trat und die ganze Anlage vor sich überblickte, sah er, daß alles noch größer war, als er nur irgendwie hatte denken können, und er begriff nicht, wie ein Unternehmen nur zu dem Zweck, um Personal zu erhalten, derartige Aufwendungen machten konnte. [Kafka, Amerika]



Einen der schönsten Blicke auf den Reichstag genossen die, die mit der S-Bahn den kurzen Weg vom Lehrter Bahnhof zur Friedrichstraße fuhren. Wie durch ein Zoom gesehen, tauchte das glänzende Gebirge weit hinter dem Spreebogen auf, wurde zu einer nahen Ritterburg und zuletzt zum Märchenschloß, versteckt hinter den dunklen Bäumen. [Kugler, ´Die letzte Nacht vor dem Morgen danach´ Die Tageszeitung, 08.07.1995]



…Seine Studenten Schüler, denen die Schrift abhanden kam. Nun hält sie nichts mehr auf der „leeren fröhlichen Fahrt“. [Benjamin, Franz Kafka, 250]



Zwischen den Stationen Lehrter Bahnhof und Friedrichstrße, wenn die S-Bahn in die Kurve geht, hat man Christos verhüllten Reichstag zu Füßen: weiß oder grau oder silbrig glänzend, je nachdem, wie hell der Himmel ist. Groß und hell und fremdartig ragt Christos Objekt über die Dächer, ein Fremdling in Farbe, Form, Funktion. So ähnlich muß es gewesen sein, als einst in New York die Ozeanriesen anlegten. Fotos zeigen, wie es beim Durchblick zwischen den Wolkenkratzern aussah, als stünde der Dampfer mitten auf der Straße. [Wiegand, ´Verschwenderische, provozierende Schönheit´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 26.06.1995]



…Seine Studenten Schüler, denen die Schrift abhanden kam. Nun hält sie nichts mehr auf der „leeren fröhlichen Fahrt“. Kafka aber hat das Gesetz der seinen gefunden; ein einziges Mal zumindest, als es ihm glückte, ihre atemraubende Schnelligkeit einem epischen Paßschritt anzugleichen, wie er ihn wohl sein Lebtag gesucht hat. Er hat es einer Niederschrift anvertraut… [Benjamin, Franz Kafka, 250]



Seine Sprache ist die befreite Prosa, die die Fesseln der Schrift gesprengt hat. [Benjamin, Ms 470, GS I,3, 1238].



Meine Zeit, mein Raubtier, deinem / Aug – hält ihm ein Auge stand? / Wer, Jahrhunderte zu einen, / knüpft mit seinem Blut das Band? Secolo mio, mia belva, chi saprà / fissar lo sguardo nelle tue pupille, / chi incollerà con il proprio sangue / le vertebre di due secoli? [Mandel'štam, Meine Zeit, 51, Agamben, 23. April 2007, Venedig]



Denn jede Übersetzung eines Werkes aus einem bestimmten Zeitpunkt der Sprachgeschichte repräsentiert hinsichtlich einer bestimmten Seite seines Gehaltes diejenigen in allen übrigen Sprachen. Übersetzung verpflanzt also das Original in einen wenigstens insofern – ironisch – endgültigeren Sprachbereich, als es aus diesem durch keinerlei Übertragung mehr zu versetzen ist, sondern in ihm nur immer von neuem und an andern Teilen erhoben zu erden vermag. Nicht umsonst mag hier das Wort ironisch an Gedankengänge der Romantiker erinnern. [Benjamin, Die Aufgabe des Übersetzers, 51]



Es ist die Übersetzung der Sprache der Dinge in die des Menschen… Die Übersetzung ist die Überführung der einen Sprache in die andere durch ein Kontinuum von Verwandlungen. [Benjamin, Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, 37]



Erfahrung ist die einheitliche und kontinuierliche Mannigfaltigkeit der Erkenntnis. [Benjamin, Über das Programm der kommenden Philosophie, GS, II, 1, 169.]



Io vado verso il fiume su un cavallo / che quando io penso un poco un poco egli si ferma. Ich reit´ auf einem Pferd zum Strom / das, denk´ ich eine Weile, eine Weile hält.


Das Pferd, auf dem der Dichter reitet, ist, einer alten Auslegungstradition der Apokalypse des Johannes zufolge, das klangliche und stimmliche Element der Sprache. [Penna, Agamben, Idee der Prosa, 25]



„…Wenn nämlich die Rhapsoden ihren Vortrag unterbrachen, traten diejenigen auf, die aus Liebe zum Spiel und um das Gemüt der Zuschauer aufzumuntern, alles, was vorausgegangen war, umkehrten… Die Parodie ist also eine umgekehrte Rhapsodie, die den Sinn ins Lächerliche überträgt, indem sie die Wörter verändert. Sie ist so etwas Ähnliches wie das Epirrhem und die Parabase…“ [Scaliger, Poetik, Agamben, Profanierungen, 31, 32]



Schon die kleine Eingangsöffnung, die kurz vor dem Abschluß der Verhüllung noch an der Südseite für Mitarbeiter geöffnet blieb, weckte die unpassende Assoziation, man habe es mit einer Art Zirkuszelt zu tun, in dem sich allerlei abspielen könnte. [Wiegand, ´Verschwenderische, provozierende Schönheit´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 26.06.1995]



In der Antike hatte aber der Begriff Parodie noch eine Bedeutung – eine ältere –, die ihn in die Sphäre der musikalischen Technik versetzt. Sie bezeichnet eine Trennung von Gesang und Wort, von melos und logos. In der griechischen Musik musste sich ursprünglich die Melodie nach dem Rhythmus des Wortes richten. Als sich bei der Rezitation der homerischen Gedichte diese traditionelle Verbindung löst und die Rhapsoden anfangen, Melodien einzuführen, die als misstönend empfunden werden, sagt man, sie singen para ten oden, gegen den Gesang (oder neben dem Gesang). [Agamben, Profanierungen, 32]



Und eben durch diese parodische Lockerung der traditionellen Fesseln von Musik und logos konnte dann bei Gorgias die Kunstprosa entstehen. Das Zerreißen der Fessel setzt ein pará, einen Raum nebenan frei, in dem sich die Prosa niederlässt. Das bedeutet, daß die literarische Prosa das Zeichen der Loslösung vom Gesang in sich trägt. [Agamben, Profanierungen, 33]



Auf einem solchen Pferd in Schlaf gesunken – durmen sus un chivau –, habe er, sagt zu Beginn der romanischen Dichtung Wilhelm von Aquitanien, seinen vers gedichtet; und ein sicheres Indiz für die beharrliche Symbolik des Bildes findet sich Anfang des Jahrhunderts bei Pascoli (und später bei Delfini und wiederum bei Penna), wo das Pferd die heitere Gestalt eines Fahrrads annimmt. [Agamben, Idee der Prosa, 25]



Anima mia, fa' in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri. [Caproni, Ultima Preghiera]



Anima mia, leggera / va' a Livorno, ti prego. / E con la tua candela / timida di nottetempo / fa' un giro; e, se n'hai il tempo, / perlustra e scruta e scrivi / se per caso Anna Picchi / è ancor viva tra i vivi. [Caproni, Preghiera]



Das Enjambement offenbart die Nichtkoinzidenz und Unverbundenheit der metrischen und syntaktischen Elemente, von Lautrhythmus und Bedeutung, gleichsam als ob das Gedicht – entgegen einem weitverbreiteten Vorurteil, das in ihm die vollkommene Übereinstimmung von Klang und Bedeutung verwirklicht sieht – sein Dasein nur deren innigster Zwietracht verdankte. Der Vers bestätigt in eben dem Augenblick, da er die syntaktische Verbindung sprengt, seine Identität: er wölbt sich, unwiderstehlich angezogen, in den folgenden Vers hinüber und sucht zu erreichen, was er zuvor aus sich stieß. Er spielt auf einen Prosaduktus an, durch eben die Bewegung, die seine Versatilität bezeugt. In diesem Sturz in den Abgrund der Bedeutung überschreitet die rein lautliche Einheit des Verses ihr eigenes Maß wie ihre Identität. [Agamben, Idee der Prosa, 23]



Die versura bildet, auch wenn sie in den Abhandlungen zur Metrik nicht eigenes erwähnt wird, den Kern des Verses, dessen Darstellung das Enjambement ist. Sie ist die zweideutige Bewegung, die gleichzeitig in entgegengesetzte Richtungen weist, rückwärts (Vers) und vorwärts (pro-vorsa, Prosa). Diese Schweben, dieses erhabene Zögern zwischen Bedeutung und Klang, ist die poetische Erbschaft, an der sich das Denken zu messen hat. [Agamben, Idee der Prosa, 24]



Aber was wird in dieser Zäsur, die das Pferd des Verses anhält, gedacht? Was offenbart die Unterbrechung der rhythmischen Transports im Gedicht? [Agamben, Idee der Prosa, 26]



(Vielleicht schrieb der Dichter aus diesem Grund einen Alexandriner, Doppelvers par excellence, dessen Zäsur üblicherweise episch genannt wird.) [Agamben, Idee der Prosa, 24]



„Frei, unbedrückt die Seiten von den Lenden des Reiters, bei stiller Lampe, fern dem Getöse der Alexanderschlacht, liest und wendet er die Blätter unserer alten Bücher.“ [Kafka, Benjamin, Franz Kafka, 250]



„Der tragische Transport ist nämlich eigentlich leer, und der ungebundenste. Dadurch wird in der rhythmischen Aufeinanderfolge der Vorstellungen, worin der Transport sich darstellt, das, was man im Silbenmaße Zäsur heißt, das reine Wort, die gegenrhythmische Unterbrechung notwendig, um nämlich dem reißenden Wechsel der Vorstellungen, auf seinem Summum, so zu begegnen, daß alsdann nicht mehr der Wechsel der Vorstellung, sondern die Vorstellung selber erscheint.“ [Hölderlin, Benjamin, Die Wahlverwandtschaften, 181, Agamben, Idee der Prosa, 26]



Wie die Unterbrechung durch das gebietende Wort es vermag aus der Ausflucht eines Weibes die Wahrheit gerad da herauszuholen, wo sie unterbricht, so zwingt das Ausdruckslose die zitternde Harmonie einzuhalten und verewigt durch seinen Einspruch ihr Beben. [Benjamin, Die Wahlverwandtschaften, GS, I, 1, 181].



Das in ihm wogende Leben muß erstarrt und wie in einem Augenblick gebannt erscheinen. Dies in ihm Wesende ist bloße Schönheit, bloße Harmonie, die das Chaos durchflutet, im Durchfluten aber zu beleben nur scheint. Was diesem Schein Einhalt gebietet, die Bewegung bannt und der Harmonie ins Wort fällt ist das Ausdruckslose. [Benjamin, Die Wahlverwandtschaften, GS, I, 1, 181].



Das Mysterium ist im Dramatischen dasjenige Moment, in dem dieses aus dem Bereiche der ihm eigenen Sprache in einen höheren und ihr nicht erreichbaren hineinragt. Es kann daher niemals in Worten, sondern einzig und allein in der Darstellung zum Ausdruck kommen, es ist das ´Dramatische´ im strengsten Verstande. [Benjamin, Die Wahlverwandtschaften, GS, I, 1, 200, 201]



„Es lebe der König!“ Nach allen auf der Tribüne (es ist das Blutgerüst) gesprochenen Worten – welch ein Wort! Es ist das Gegenwort… [Célan, Der Meridian, 43]



Der rhythmische Transport, der den Schwung des Verses trägt, ist leer und trägt nur sich selbst. Es ist die Zäsur, die als reines Wort – für eine Weile – diese Leere denkt, in der Schwebe lässt, während das Pferd der Dichtung eine Weile einhält… Der Dichter, eingeschlafen auf seinem Pferd, erwacht und betrachtet für einen Augenblick die Inspiration, die ihn trägt; er denkt nur seine Stimme. [Agamben, Idee der Prosa, 26, 27]



Seine Sprache ist die befreite Prosa, die die Fesseln der Schrift gesprengt hat. [Benjamin, Ms 470, GS, I, 3, 1238].



Und eben durch diese parodische Lockerung der traditionellen Fesseln von Musik und logos konnte dann bei Gorgias die Kunstprosa entstehen. Das Zerreißen der Fessel setzt ein pará, einen Raum nebenan frei, in dem sich die Prosa niederlässt. Das bedeutet, daß die literarische Prosa das Zeichen der Loslösung vom Gesang in sich trägt. [Agamben, Profanierungen, 33]



Dem „als ob“ der Fiktion stellt die Parodie ihr drastisches „so ist es zuviel“ (oder „als ob nicht“) entgegen. Wenn also die Fiktion das Wesen der Literatur definiert, dann steht die Parodie gewissermaßen auf der Schwelle zu dieser: beharrlich ausgespannt zwischen Wirklichkeit und Fiktion, zwischen Wort und Ding. [Agamben, Profanierungen, 42]



…The Latin concept (the Etruscan word) persona. [Nancy, Lapsus judicii, 153].



Jurisdiction is articulated around a double structure, therefore. On the one hand, it states the right of the case, thereby making it a case: it subsumes it, suppresses its accidental character; picks it up [relève] after its fall; sublative jurisdiction proceeds thus in the same way as the Concept of Hegelian science. On the other hand, though, it states the right of this case and so states right itself through this case: in a sense, right exists through the case alone, through its accidental character” [Nancy, Lapsus judicii, 156]



As if I were Dead / Als ob ich tot wäre. [Derrida, As if I were Dead / Als ob ich tot wäre]



The juridical act – it scarcely merits the name ‘operation’ – forms or figures a fact whose essence or whose own sense falls, on principle, outside of this form. It deliberately institutes the break between the sign and the thing; more accurately, it is the act of this break or this braking, and it is so first of all insofar as its agent fictions or fashions him or herself into the person of the right to utter right [Nancy, Lapsus judicii, 158]



…Daß die italienischen Dichter ihre Sprache im selben Maße hassen, wie sie sie lieben. Deshalb geht die Parodie in ihrem Fall nicht nur so vor, daß sie mehr oder weniger komische Inhalte in ernste Formen gießt, sondern daß sie gewissermaßen die Sprache selbst parodiert. [Agamben, Profanierungen, 38]



Doch gerade deshalb tritt der Mensch erstmals in eine Epoche, in der er die Erfahrung seines sprachlichen Wesens selber machen kann – nicht eines bestimmten sprachlich vermittelten Inhalts, sondern der Sprache selber, nicht dieser oder jener wahren Aussage, sondern des Umstandes, daß gesprochen wird. Die Politik unserer Tage ist jenes verheerende experimentum linguae, das auf dem ganzen Planeten Überlieferungen und Glaubensbekenntnisse, Ideologien und Religionen, Identitäten und Gemeinschaften auseinandernimmt und entleert. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 76, 77]



Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abends / wir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts / wir trinken und trinken [Célan, Todesfuge]



Nicht anders als Aher repräsentiert Adam die Menschheit. Wie diese erklärt er das Wissen zu seiner Bestimmung und dem ihm eigentlichen Vermögen, trennt also die Erkenntnis und das Wort, die nichts anderes sind als die vollkommenste Form, in der sich Gott manifestiert (die Schechina), von den anderen Sefiroth, in denen Gott sich offenbart, trennt… Das geoffenbarte und manifeste (und mithin gemeinsamen und teilbare) Sein trennt sich von der geoffenbarten Sache und tritt zwischen sie und die Menschen. In der Abgeschiedenheit dieses Exils verliert die Schechina ihre positive Wirkung und wird bösartig (oder wie die Kabbalisten sagen, sie „saugt die Milch des Bösen“). [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 75]



Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts / wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends / wir trinken und trinken [Célan, Todesfuge]



Wie jeder andere auch, der auf italienisch über Erste Philosophie oder Politik schreibt, ist sich der Autor dieser Postille vollkommen darüber bewußt, ein Überlebender zu sein. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 103]



Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts / wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus Deutschland / wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken [Célan, Todesfuge]



„Die Spur entstehet als ihr eigenes Erlöschen.“ (Derrida 1988, S. 82f.) Hier zeigt die Urspur ihre Verbindung – und zugleich ihre Differenz – zur Hegelschen Aufhebung und ihrem messianischen Thema. Die Bewegung der Aufhebung, die die Signifikate neutralisiert, indem sie deren Bedeutung bewahrt und vollendet, wird hier zum Prinzip eines unendlichen Aufschubs. Das Sich-Bedeuten der Bedeutung ergreift sich selbst nie, erreicht nie eine Repräsentationsleere, lässt nie eine Nichtbedeutung sein, sondern ist auf die eigene Geste verwiesen und aufgeschoben. Die Spur ist in diesem Sinne eine Aufhebung in der Schwebe, die nie ihr plềrōma erreicht. Die Dekonstruktion ist ein blockiert Messianismus, eine Suspendierung des messianischen Themas. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 117]



Es ist die Mitteilbarkeit selber, die die Mitteilung verhindert; die Menschen werden durch das getrennt, was sie vereint. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 75]



Von der Straße des 17. Juni auf der Höhe der Entlastungsstraße läuft sie Richtung Osten auf das Brandeburger Tor zu, schließt den Postamer Platz ein, zieht sich dann die Luisenstraße hoch nach Norden über die Spree bis zu den S-Bahn-Gleisen zwischen Friedrichstraße und Lehrter Stadtbahnhof.



An diesen Gleisen entlang läuft die Grenze bis zum Karlplatz. Das Sperrgebiet verfolgt dann am Spreeufer jenseits des Flusses den Spreebogen bis zum Ende der Krümmung. Auf der Höhe des Hauses der Kulturen der Welt läuft die Grenzmarke quer über das Gewässer zurück zur Straße des 17. Juni über die Paul-Löbe-Straße, die Große Querallee, die John-Foster-Dulles-Allee und die Entlastungsstraße. Die Beamten aus den Berliner Bezirken erklärten sich einverstanden. Keiner weiß, warum, und vom 17. Juni bis zum 6. Juli gehört der Bereich um das deutsche Parlament einem Bulgaren. Kaum haben die Deutschen ihre volle Souveränität wiedererlangt... [Kaden, ´Bannmeile steckt Kunstgrenze ab´ Die Tageszeitung, 10.06.1995]



Es herrscht Ausnahmezustand, ein Zustand, der so vergänglich ist wie diese Kunst. [Kugler, ´Die Heiterkeit des großen Faltenwurfs´ Die Tageszeitung, 28.06.1995]



Deswegen kann, wer dem Verlorenen treu bleibt, nicht an irgendeine Identität oder weltliche k l e s i s glauben. Das A l s-o b-n i c h t ist in keiner Weise eine Fiktion... [Agamben, Die Zeit, die bleibt]



Berlin hat plötzlich einen Marktplatz, sagt M. Es erinnert an ein Leichentuch, sagt C. Als wäre ein Ufo gelandet, sagt K. Ein gigantisches Spielzeug, sage ich. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Perché il potere ha bisogno dell´inoperosità e della gloria? Che cosa c´è in queste di tanto essenziale, che il potere debba iscriverle a ogni costo nel centro vuoto del suo dispositivo governamentale? Di che cosa si nutre il potere? E, ancora: È possible pensare l´inoperosità al di fuori del dispositivo della gloria? [Agamben, Il Regno e la Gloria, 270]



Questa vita è segnata da uno speciale funtore di inoperosità, che anticipa in qualche modo nel presente il sabatismo del Regno: l´hōs mē, il “come non”. Come il messia ha portato a compimento e, insieme, reso inoperosa la legge (il verbo di cui Paolo si serve per esprimere la relazione fra il messia e la legge – katargein – significa letteralmente “rendere argos”, inoperoso), così l´hōs mē mantiene e, insieme, disattiva nel tempo presente tutte le condizioni giuridiche e tutti i comportamenti sociali dei membri della comunità messianica. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 271]



Ob es sich da um große Kunst handelt oder nicht, ist längst nebensächlich - [´Schaut auf diese Stadt´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Jemand ist einer fixen Idee 24 Jahren treu geblieben, um uns am Ende diese schöne und glitzernde Sinnlosigkeit auf die Wiese zu stellen... Es scheint, als hätte Berlin diese Botschaft des Leichtsinns sehnsüchtig erwartet. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Jeder wird auf dem Naturtheater von Oklahoma eingestellt. Nach welchen Maßstäben die Aufnahme erfolgt, ist nicht zu enträtseln. Die schauspielerische Eignung, an die man zuerst denken sollte, spielt scheinbar gar keine Rolle. Man kann das aber auch so ausdrücken: den Bewerben wird überhaupt nichts anderes zugetraut, als sich zu spielen. Daß sie im Ernstfall sein könnten, was sie angeben, schaltet aus dem Bereich der Möglichkeit aus. [Benjamin, Franz Kafka, 235, 236]



In seiner seltsamen Verkleidung steht er da und erwartet die Einfälle seiner Betrachter, ein kolossales A, das den Rest des Alphabets herausfordert. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Vivere nel messia significa appunto revocare e rendere inoperosa in ogni istante e in ogni aspetto la vita che viviamo, fare apparire in essa la vita per cui viviamo, che Paolo chiama la “vita di Gesù”. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 271]



Denn offensichtlich gibt es mittlerweile zwischen Spektakel und Sprache überhaupt keinen Unterschied mehr, es ist zur Mitteilbarkeit, zum sprachlichen Sein des Menschen selber geworden. [Agamben, Die kommende Gemeinschaft, 73]



Die Tätigkeit, die dabei herauskommt, wird so zu einem reinen Mittel, das heißt einer Praxis, die, obschon sie hartnäckig an ihrer Natur als Mittel festhält, sich von der Verbindung mit einem Ziel emanzipiert, vergnügt ihren Zweck vergessen hat und jetzt als Mittel ohne Zweck auftreten kann. Die Schöpfung eines neuen Gebrauchs ist also für den Menschen nur möglich, wenn er einen Alten Gebrauch entschärft, unwirksam macht. [Agamben, Profanierungen, 84]



Plötzlich steht inmitten der mißmutigen Umtriebigkeit, verlockend und flüchtig wie eine Fata Morgana, Christos verhüllter Reichstag, und die Berliner tun etwas, das der Senat seinen öffentlich Bediensteten in Fortbildungskursen vergebens beizubringen versucht: Sie lächeln. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Dann können wir sagen, daß der Kapitalismus, indem er eine schon dem Christentum innewohnende Tendenz bis zum Äußersten treibt, die Struktur der Absonderung, die jede Religion bestimmt, in alle Bereiche hinein verallgemeinert und absolut macht. Wo das Opfer den Übergang vom Profanen zum Heiligen und vom Heiligen zum Profanen markierte, vollzieht sich jetzt ein einziger, vielgestaltiger, unaufhörlicher Absonderungsprozeß, der jedes Ding, jeden Ort, jede menschliche Tätigkeit einbegreift, um sie von sich selbst zu trennen, und der an der Zäsur heilig/profan, göttlich/menschlich überhaupt nicht interessiert ist. In der extremsten Form verwirklicht die kapitalistische Religion die reine Form der Absonderung, ohne noch etwas abzusondern zu haben. [Agamben, Profanierungen, 79]



Religio ist nicht das, was Menschen und Götter verbindet, sondern das, was darüber wacht, daß sie voneinander unterschieden bleiben. [Agamben, Profanierungen, 72]



Il Governo glorifica il Regno e il Regno glorifica il Goveno. Ma il centro della macchina è vuoto e la Gloria non è che lo splendore che emana da quel vuoto, il kabod inesausto che insieme rivela e vela la vacuità centrale della macchina. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 234]



Den Gläubigen im Tempel – oder den Pilgern, die von Tempel zu Tempel oder von Wallfahrtsort zu Wallfahrtsort durchs Land zogen – entsprechen heute die Touristen, die rastlos durch eine zum Museum verfremdete Welt reisen… Wenn die Christen “Pilger”, das heißt Fremdlinge auf Erden waren, weil sie wußten, daß ihre wahre Heimat im Himmel war, so haben die Anhänger des neunen kapitalistischen Kultus keine Heimat, weil sie in der reinen Form der Absonderung verharren. [Agamben, Profanierungen, 82, 83]



Was ausgeschlossen werden muß, damit die Dekonstruktion funktionieren kann, ist, daß Präsenz und Ursprung nicht fehlen, sondern rein insignifikant sind. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 117]



Messianisch zu sein, im Messias zu leben, bedeutet die Enteignung jedes juristischen-faktischen Eigentums in der Form des Als-ob-nicht (beschnitten/unbeschnitten; Freier/Sklave; Mann/Frau). Aber diese Enteignung gründet keine neue Identität: Die „neue Schöpfung“ ist nur der Gebrauch und die messianische Berufung der alten. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 37]



Die Trutzburg keineswegs immer glücklicher deutscher Geschichte ist vorübergehend verschwunden, zur Mumie erstarrt und verpackt, säuberlich im Plastik-Hermelin. [Koch, ´Trutzburg im Hermelin´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 28.06.1995]



Christo stürzt alles um, er verändert die Bedingungen der Sichtbarkeit. Das Haus der Volksvertreter verwandelt er in eine Zeichnung, das Ergebnis der Geschichte in den Einfall eines Augenblicks. Wie ein Usurpator in der Renaissance alte Stadtviertel niederriß, um Prachtstraßen auf seinen Palast auszurichten, so ordnet Christo den Stadtraum neu: Alles zeigt auf sein Werk. Dem Polykrates gleich steht er auf des Reichstags Zinnen. Jeder Betrachter ist Statist in der Revolution von oben. Der Schock, den der Anblick dieses potemkinschen Panzerkreuzers beschert, verdankt sich der Grausamkeit jener feinsinnigen Tyrannen, die aus dem Staat ein Kunstwerk machten. [Bahners, ´Revolution von oben´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 28.06.1995]



Come la teologia cristiana aveva trasformato dinamicamente il monoteismo biblico, opponendo dialetticamente al suo interno l´unità della sostanza e dell´ontologia (la theologia) alla pluralità delle persone e delle prassi (l´oikonomia), così la doxa theou definisce ora l´operazione di glorificazione reciproca fra il Padre e il Figlio (e, più in generale, fra le tre persone). L´economia trinitaria è costitutivamente una economia della gloria. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 223]



Se la gloria è così importante in teologia, ciò è innanzitutto perché essa permette di tenere insieme nella macchina governamentale trinità immanente e trinità economica, l´essere di Dio e la sua prassi, il Regno e il Governo. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 253]



„Dies aber sage ich, Brüder, die Zeit ist zusammengedrängt. Was bleibt, ist, damit die Frauen Habenden als ob nicht Habende seien und die Weinenden als ob nicht Weinende und die sich Freuenden als ob nicht sich Freuende und die Kaufenden als ob nicht Behaltende und die die Welt Nutzenden als ob nicht Nutzende. Es vergeht nämlich die Gestalt dieser Welt. Ich will jetzt, daß ihr ohne Sorgen seid.“ Hōs mē, „als ob nicht“. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 34]



Für den Augenmenschen zumindest, mit Sinn für Lichtwerte und Kulissentheatralik, ist es ein erfreulich sinnliches Scheinen der Idee. [Koch, ´Trutzburg im Hermelin´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 28.06.1995]



Gaultier war ein aufmerksamer Leser Nietzsches, und er hatte begriffen, daß jeder Nihilismus irgendwie ein Als-ob impliziert. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 48]



De jure, every step is taken to guarantee against lapsus judicii. De facto – but this fact is itself the fact of right – the guarantee itself only ever guarantees its figure or its fiction as guarantor. [Nancy, Lapsus judicii, 168]



The role of the Critique, is to occupy the place of the foundation of right; it is, in principle, charged with saying the right of right and of sheltering jus from the casuality of diction. [Nancy, Lapsus judicii, 167]



Das Messianische ist nicht die Zerstörung, sondern die Deaktivierung und die Unausführbarkeit des Gesetzes. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 111]



Aller Anfang ist körniges Granulat. Bei 240 Grad Hitze entsteht daraus ein Zwirn, der gebündelt wird und immer dicker. Am Ende stehen 14.000 Meter „umweltfreundliches und recyclefähiges“ Polypropylen-Seil bereit, 32 Millimeter dick, königsblau eingefärbt und zusätzlich flammhemmend ausgerüstet. Genau so, wie Christo – und Jeanne-Claude natürlich – es sich gewünscht haben. Denn die „technischen Textilien“ sollen, wenn heute die Hüllen vom stahlverstärkten Dach über den Berliner Reichstag fallen, dafür sorgen, die 100.000 Quadratmeter aluminiumbeschichtetes Polypropylengewebe zu bändigen. [Musik, ´Christo, Jeanne-Claude und Georg Gleistein´ Die Tageszeitung, 17.06.1995]



Secondo questo paradigma, la prassi divina, dalla creazione alla redenzione, non ha fondamento nell´essere di Dio e si distingue da esso fino a realizzarsi in una persona separata, il Logos o il Figlio; e, tuttavia, questa prassi anarchica e infondata deve potersi conciliare con l´unità della sostanza. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 81]



Il potere di Cristo è, cioè, nella sua relazione col Padre, un potere essenzialmente vicario, nel quale egli agisce e governa, per così dire, in nome del Padre. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 155]



Vicarius Dei. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 154]



L´economia trinitaria è, cioè, l´espressione di un potere e di un essere anarchico, che circola fra le tre persone secondo un paradigma essenzialmente vicario. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 155]



La vicarietà implica, cioè, un´ontologia – o, meglio, la sostituzione all´ontologia classica di un paradigma “economico”, in cui nessuna figura dell´essere è, come tale, in posizione di archē, ma originaria è la stessa relazione trinitaria, dove ciascuna delle figure gerit vices, fa le veci dell´altra. Il mistero dell´essere e della divinità coincide senza residui col suo mistero “economico”. Non vi è una sostanza del potere, ma solo un´“economia”, soltanto “governo”. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 155, 156]



Im Anfang war der Logos, und der Logos war bei Gott, und Gott war der Logos. Im Anfang war das Wort, und das Wort war bei Gott, und Gott war das Wort. [Joh, 1, 1]



Nicht Logos, sondern Dike ist in diesem Sinn die älteste Tradition des Menschen… Indem sie glauben, eine Sprache weiterzugeben, leihen die Menschen in Wirklichkeit einander eine Stimme, und indem sie sprechen, geben sie sich ohne Rückhalt der Gerechtigkeit preis. [Agamben, Idee der Prosa, 71, 72]



Il termine Ge-stell corrisponde perfettamente (non soltanto nella sua forma: il tedesco stellen equivale a ponere) al termine latino dispositio, che traduce il greco oikonomia. Il Ge-stell è il dispositivo dell´assoluto e integrale governo del mondo. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 275]



Wenn die Christen “Pilger”, das heißt Fremdlinge auf Erden waren, weil sie wußten, daß ihre wahre Heimat im Himmel war, so haben die Anhänger des neunen kapitalistischen Kultus keine Heimat, weil sie in der reinen Form der Absonderung verharren. [Agamben, Profanierungen, 82, 83]



Die Dekonstruktion ist ein blockiert Messianismus, eine Suspendierung des messianischen Themas. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 117]



In der extremsten Form verwirklicht die kapitalistische Religion die reine Form der Absonderung, ohne noch etwas abzusondern zu haben. [Agamben, Profanierungen, 79]



Impensabile e inguardabile non è il kabod, ma la maestà inoperosa che esso vela con la caligine delle sue nubi e lo splendore delle sue insegne. La gloria, tanto in teologia che in politica, è precisamente ciò che prende il posto di quel vuoto impensabile che è l´inoperosità del potere; e, tuttavia, proprio questa indicibile vacuità è ciò che nutre e alimenta il potere (o, meglio, ciò che la macchina del potere trasforma in nutrimento). [Agamben, Il Regno e la Gloria, 265]



Dabei hatte diesen Sturm auf den Reichstag nur unbezähmbare Neugier entfacht. Sie wollten es anfassen, sagte einer der Ordnungshüter. Der Drang, es anzufassen, wie Kinder ein Tier oder etwas Unbekanntes betasten und befühlen wollen, überkommt offenbar jeden. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Nell´iconografia del potere, tanto profano che religioso, questa vacuità centrale della Gloria, questa intimità di maestà e inoperosità, ha trovato un simbolo esemplare nell´hetoimasia tou thronou, cioè nell´immagine del trono vuoto. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 266]



Secondo un dispositivo che ci è ormai familiare, alla dottrina della vita messianica si sostituisce quella della vita gloriosa, che isola la vita eterna e la sua inoperosità in una sfera separata. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 272]



Der stärkste Einwand gegen das Prinzip der Souveränität steckt in Herman Melvilles Bartleby, dem Schreiber, der mit seinem “ich möchte lieber nicht” jeder Entscheidungsmöglichkeit zwischen Potenz zu und Potenz nicht zu widerstehet. Diese Figuren treiben die Aporie der Souveränität an die Grenze, doch gelingt es ihnen dennoch nicht, sich vollends aus ihrem Bann zu lösen… [Agamben, Homo sacer, 59]



Questa vita è segnata da uno speciale funtore di inoperosità, che anticipa in qualche modo nel presente il sabatismo del Regno: l´hōs mē, il “come non”. Come il messia ha portato a compimento e, insieme, reso inoperosa la legge (il verbo di cui Paolo si serve per esprimere la relazione fra il messia e la legge – katargein – significa letteralmente “rendere argos”, inoperoso), così l´hōs mē mantiene e, insieme, disattiva nel tempo presente tutte le condizioni giuridiche e tutti i comportamenti sociali dei membri della comunità messianica. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 271]



Der Platz der Republik ist zum Picknickgelände geworden. Alle paar Meter haben sich Gruppen niedergelassen, essen und trinken im Kerzenschein, es ist eine Atmosphäre friedfertiger Festlichkeit. [Wiegand, ´Letzter Blick´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 08.07.1995]



Vivere nel messia significa appunto revocare e rendere inoperosa in ogni istante e in ogni aspetto la vita che viviamo, fare apparire in essa la vita per cui viviamo, che Paolo chiama la “vita di Gesù”. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 271]



...Pantomimen und Performance-Künstler, die sich oder irgend jemanden sonst mit Zellophan oder Plastik oder Toilettenpapier verhüllen und das vermutlich für einen Einfall halten. Im Windschatten Christos gelingen aber auch staunenswerte Effekte. Direkt vor dem Reichstag konkurrieren Musikgruppen miteinander, der Wettstreit endet mit dem Sieg der harten Conga-Trommeln. Einige von den etwa hundert Tänzern verstehen es, sich so geschickt vor einen Scheinwerfer zu plazieren, daß ihre Silhouette in pharaonischen Dimensionen über die Reichstagsfassade zuckt. Wenn zwei oder drei das machen, ergibt sich ein faszinierendes Schattenspiel. [Wiegand, ´Letzter Blick´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 08.07.1995]



La vita messianica è l´impossibilità della vita di coincidere con una forma predeterminata, la revocazione di ogni bios per aprirlo alla zōē tou Iesou. E l´inoperosità che qui ha luogo non è semplice inerzia o riposo, ma è, al contrario, l´operazione messianica per eccellenza. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 272]



Zwischen den Kerzen ist immer ein halber Meter Abstand, und so verdrängt jedes Licht einen Zuschauer, bis sich ein großer Kreis um die Lichterplatte gebildet hat. Alles staunt über das neue Lichterspiel, das mit der überwältigenden Erscheinung des angestrahlten Reichstags zu konkurrieren wagt. Gleichzeitig wird ein weiteres Lichterspiel inszeniert: Am südwestlichen Eckturm steht eine junge Frau, die rotes und gelbes Transparentpapier mitgebracht hat. Sie hält es vor einen Scheinwerfer – und der verhüllte Turm glänzt plötzlich nicht mehr silbergrau, sondern in tiefem, dunklem Gold. Das ist überwältigend schön, subtil ausgedacht und mit einfachsten Mitteln bewerkstelligt – genau wie der Pflasteraltar mit den Windlichtern oder der Tanz der Schatten auf dem großen Vorhang. [Wiegand, ´Letzter Blick´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 08.07.1995]



Indem so eine Tendenz weitergeführt wurde, die schon in den Schriften des Franziskus zu finden war, wonach der Orden als eine messianische Gemeinde konzipiert und die Regel im Evangelium – verstanden als eine Lebensform (haec est vita evangeli Jesu Christi, so beginnt die erste Regel) – aufgelöst wurde, wollten sowohl Olivi als auch Angelus Clarenus einen neuen Raum schaffen, der dem Zugriff der Macht und ihrer Gesetze entgehen sollte, und zwar nicht, indem sie den Konflikt mit ihnen suchten, sondern indem sie diese Gesetze einfach unwirksam machten. [Agamben, Die Zeit, die bleibt, 38]



Das Schönste an diesem Kunstwerk war, dass es keine „message“ hatte, meinte eine Besucherin. Das habe die ganze Geschichte so unverkrampft, so leicht gemacht… Niemals zuvor lag über dieser ruppigen Stadt Berlin und erst recht nicht über dem Platz der Republik eine solche friedvolle Heiterkeit. Unvorstellbar, daß diese Deutschen, die ihren Wein spontan mit Fremden teilen, die alle Sprachen der Welt plötzlich verstehen wollen und sich entschuldigen, wenn jemand sie aus Versehen anrempelt, jemals wieder in einen Krieg ziehen könnten. [Kugler, ´Die Letze Nacht vor dem Morgen danach´ Die Tageszeitung, 08.08.1995]



Quis est? Ego respondeo: Frater Franciscus. [Agamben, Idee der Prosa, 145]



Ich bin Franziskus, macht auf! Der Name, der nichts bedeutet – die reine Subjektivität–, ist die Schwelle im Haus der Seligkeit. [Agamben, Idee der Prosa, 146]



Für sie ist in der Tat „>das Hämmern ein wirkliches Hämmern und gleichzeitig auch ein Nichts<“ – wenn es nämlich in ihrer Rolle steht. Diese Rolle studieren sie… [Kafka, Benjamin, Franz Kafka, 248]



Festlich gekleidete Russen und Polen scharen sich neugierig um afrikanische Trommler und indische Sitarspieler. [´Schaut auf diese Stadt´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Familien halten allabendlich auf der Wiese vor dem Reichstag ihr Picknick ab. Anstatt in Kneipen oder Cafés trifft man sich bei Christos Verhüllungsobjekt. [´Schaut auf diese Stadt´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Die einen singen, andere trommeln, noch andere jonglieren, manche küssen sich, die meisten fotografieren. Nachts kann man sich als Riesenschatten von den Scheinwerfen auf dem Portal abbilden lassen, und wer dabei einem anderen auf die Schultern klettert, steigt mühelos übers Dach. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



…Seine qualvollste Ausprägung ist Bartleby, der Schreiber, der aufgehört hat zu schreiben. In ihm hat die messianische Spannung des Studiums sich umgekehrt, oder besser, sich selbst überschritten. Seine Geste ist die einer Potenz, die dem Akt nicht vorausgeht, sondern folgt, die ihn für immer hinter sich lässt; eines Talmuds, der auf den Wiederaufbau des Tempels nicht nur verzichtet, sondern ihn schlechtweg vergessen hat. In ihr befreit sich das Studium von der Trauer, die es entstellte, und findet zu seiner wahren Natur zurück. [Agamben, Idee der Prosa, 54]



Von Gott aber kommen dem Menschen nicht Aufgaben sondern einzig Forderungen. [Benjamin, Die Wahlverwandtschaften, GS, I, 1, 154]



Jeanne-Claude unterzeichnete sogar eine Entschuldigung: „Anna Weinkamm kommt zu spät zur Schule. Sie hat mich am Reichstag besucht.“ [´Schaut auf diese Stadt´ Der Spiegel, 03.07.1995]



La prassi propriamente umana è un sabatismo, che, rendendo inoperose le funzioni specifiche del vivente, le apre in possibilità. Contemplazione e inoperosità sono, in questo senso, gli operatori metafisici dell´antropogenesi, che, liberando il vivente uomo dal suo destino biologico o sociale, lo assegnano a quella indefinibile dimensione che siamo abituati a chiamare politica. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 274]



Sehr spät in der Nacht, als die vielen Trommler, die unermüdliche Combo aus Peru, die Jongleure der Akrobatikschule, die Feuerschlucker aus dem Kunsthaus Tacheles, die Dixi-Band aus Canada und und und … müde geworden sind, kommen die Stunden der leisen und einsamen Töne: der Cellos, der Klarinetten, der Saxophone, der Geigen. [Kugler, ´Die Letze Nacht vor dem Morgen danach´ Die Tageszeitung, 08.08.1995]



…Il vero problema, l´arcano centrale della politica non è la sovranità, ma il governo, non è Dio, ma l´angelo, non è il re, ma il ministro, non è la legge, ma la polizia – ovvero, la macchina governamentale che essi formano e mantengono in movimento. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 303]



E politica è l´operazione che viene a capo di questo mistero, che disattiva e rende inoperoso il dispositivo tecnico-ontologico. Essa non è custodia dell´essere e del divino, ma, nell´essere e nel divino, quell´operazione che ne disattiva e compie l´economia. [Agamben, Il Regno e la Gloria, 276]



Religio ist nicht das, was Menschen und Götter verbindet, sondern das, was darüber wacht, daß sie voneinander unterschieden bleiben. [Agamben, Profanierungen, 72]



In diesem Sinn ist es vonnöten, zwischen Säkularisierung und Profanierung zu unterschieden. Die Säkularisierung ist eine Form von Verdrängung, welche die Kräfte weiterwirken lässt und sich auf deren Verschiebung von einem Ort zum anderen beschränkt. So macht die politische Säkularisierung theologischer Begriffe (die Transzendenz Gottes als souveräne Macht) nichts anderes, als die himmlische Monarchie auf die Erde zu versetzen. [Agamben, Profanierungen, 74]



„Ich will dir was erzählen von der Mummerehlen.“ Das Verschen ist entstellt; doch hat die ganze entstellte Welt der Kindheit darin Platz. [Benjamin, Berliner Kindheit um neunzehnhundert, Fassung letzter Hand, 438]



Vergleich der Versuche der andern mit Unternehmen der Schifffahrt, bei denen die Schiffe vom magnetischen Nordpol abgelenkt werden. Diesen Nordpol zu finden. Was für die anderen Abweichungen sind, das sind für mich die Daten, die meinen Kurs bestimmen. ­Auf den Differentialen der Zeit, die für die anderen die ´großen Linien´ der Untersuchung stören, baue ich meine Rechnung auf. [Benjamin, N 1, 2, GS, V, 1, 570]



In einem alten Kinderverse kommt die Muhme Rehlen vor. Weil mir nun „Muhme“ nichts sagte, wurde dieses Geschöpf für mich zu einem Geist: der Mummerehlen.


Beizeiten lernte ich es, in die Worte, die eigentlich Wolken waren, mich zu mummen. Die Gabe, Ähnlichkeit zu erkennen, ist ja nichts als ein schwaches Überbleibsel des alten Zwanges, ähnlich zu werden und sich zu verhalten. Den übten Worte auf mich aus. [Benjamin, Berliner Kindheit um neunzehnhundert, Fassung letzter Hand, 438]



Rein, profan, von heiligen Namen frei ist das Ding, das dem allgemeinen Gebrauch der Menschen zurückgegeben ist. Aber der Gebrauch erscheint hier nicht als etwas Naturgegebenes: sondern man erreicht ihn durch eine Profanierung. [Agamben, Profanierungen, 70]



Und dies bedeutet nicht das Fehlen von Sorgfalt (keine Aufmerksamkeit hält dem Vergleich mit der eines spielenden Kindes stand), sondern eine neue Dimension des Gebrauchs, die der Menschheit von Kindern und Philosophen geliefert wird. Einen derartigen Gebrauch muß Benjamin im Sinn gehabt haben, als er in Der neue Advokat schrieb, daß das nicht mehr angewandte, sondern nur noch das studierte Recht die Tür zur Gerechtigkeit ist. Wie die nicht mehr befolgte, sondern gespielte religio die Tür zum Gebrauch öffnet, so werden die Gewalten der Wirtschaft, des Rechts und der Politik, durch das Spiel entschärft, das Tor zu einem neuen Glück. [Agamben, Profanierungen, 73, 74]



Berlin hat plötzlich einen Marktplatz, sagt M. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Die Pforte der Gerechtigkeit ist das Studium. Und doch wagt Kafka nicht, an dieses Studium die Verheißungen zu knüpfen, welche die Überlieferung an das der Thora geschlossen hat. Seine Gehilfen sind Gemeindediener, denen das Bethaus, seine Studenten Schüler, denen die Schrift abhanden kam. Nun hält sie nichts mehr auf der „leeren fröhlichen Fahrt“. Kafka aber hat das Gesetz der seinen gefunden; ein einziges Mal zumindest, als es ihm glückte, ihre atemraubende Schnelligkeit einem epischen Paßschritt anzugleichen, wie er ihn wohl sein Lebtag gesucht hat. Er hat es einer Niederschrift anvertraut, die nicht nur darum seine vollendetste wurde, weil sie eine Auslegung ist. „Sancho Pansa, der sich übrigens dessen nie gerühmt hat, gelang es im Laufe der Jahre, durch Beistellung einer Menge Ritter- und Räuberromane in den Abend- und Nachstunden seinen Teufel, dem er später den Namen Don Quixote gab… [Kafka, Der neue Advokat, Benjamin, Franz Kafka, 250]



Das Tempo aber, jene Schnelligkeit im Lesen oder Schreiben… [Benjamin, Lehre vom Ähnlichen, 63]



Das wahre Bild der Vergangenheit huscht vorbei. Nur als Bild, das auf Nimmerwiedersehen im Augenblick seiner Erkennbarkeit eben aufblitzt, ist sie Vergangenheit festzuhalten. [Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, 667]



Der geheime Name ist in Wirklichkeit die Geste, mit der das Geschöpf dem Unausgedruckten zurückgegeben wird. In der letzten Instanz ist die Zauberei nicht die Kenntnis der Namen, sondern eine Geste, die Entzauberung vom Namen. Deshalb ist ein Kind nie so glücklich, wie wenn es sich seine Geheimsprache erfindet. [Agamben, Profanierungen, 50]



Es erinnert an ein Leichentuch, sagt C. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Die messianische Welt ist die Welt allseitiger und integraler Aktualität. Erst in ihr gibt es eine Universalgeschichte. Aber nicht als geschriebene, sondern als die festlich begangene. Dieses Fest ist gereinigt von aller Feier. Es kennt keinerlei Festgesänge. Seine Sprache ist integrale Prosa, die die Fesseln der Schrift gesprengt hat und von allen Menschen verstanden wird (wie die Sprache der Vögel von Sonntagskindern). [Benjamin, Ms 470, GS, I, 3, 1238]



Cocteau hat gesehen, was jeden Leser Prousts im höchsten Grade beschäftigen sollte: er sah das blinde, unsinnige und besessene Glücksverlangen in diesem Menschen. Es leuchtete aus seinen Blicken. Die waren nicht glücklich. Aber in ihnen saß das Glück wie im Spiel oder in der Liebe. [Benjamin, Zum Bilde Prousts, 167]



Als wäre ein Ufo gelandet, sagt K. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



Die Profanierung beinhaltet eine Neutralisierung dessen, was sie profaniert. Wenn aber das, was nicht verfügbar und abgesondert war, einmal profaniert ist, verliert es seine Aura und wird dem Gebrauch zurückzugeben. Beides sind politische Operationen: aber die erste hat mit der Ausübung der Macht zu tun, die sie gewährleistet, indem sie sie auf ein heiliges Vorbild zurückführt; die zweite entkräftet die Vorrichtungen der Macht und gibt dem allgemeinen Gebrauch die Räume zurück, welche die Macht konfisziert hatte. [Agamben, Profanierungen, 74, 75]



Das Spiel zu seiner rein profanen Berufung zurückzuführen ist eine politische Aufgabe. [Agamben, Profanierungen, 74]



Ein gigantisches Spielzeug, sage ich. [Maron, ´Ein gigantisches Spielzeug´ Der Spiegel, 03.07.1995]



In seiner äußersten Phase ist der Kapitalismus nichts anderes als eine riesige Vorrichtung, um reine Mittel, das heißt profanierende Verhaltensweisen zu beschlagnahmen. Die reine Mittel, welche die Entschärfung und den Bruch jeder Absonderung darstellen, werden ihrerseits in einer besonderen Sphäre abgesondert. Ein Beispiel ist die Sprache. Freilich hat die Macht zu allen Zeiten versucht, sich die Kontrolle über die gesellschaftliche Kommunikation zu sichern, wobei sie sich der Sprache als Mittel zur Verbreitung ihrer Ideologie und zur Einführung eines freiwilligen Gehorsams bediente. Aber heute hat diese als Mittel dienende Funktion – auch wenn sie an den Rändern des Systems noch wirksam ist, sobald Gefahren – oder Ausnahmesituationen eintreten – ihren Platz an ein anderes Kontrollverfahren abgegeben, das die Sprache in der Sphäre des Medienspektakels absondert, sie also leer sich um sich selbst drehen lässt und sie als Leerlauf, das heißt mit ihrem möglichen profanatorischen Potential einsetzt. [Agamben, Profanierungen, 86]



„Kennen Sie Christo?“ So ist eine samstägliche Stellenanzeige in dieser Zeitung überschrieben. Aktueller geht´s nicht: Ein Unternehmen sucht einen Verpackungsingenieur. Verpackt wird der Berliner Reichstag freilich nicht, er wird verhüllt – [Günther, ´Christos Kunst ist nichts ohne schnöde technische Arbeit´ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 20.06.1995]



Der Personalchef streckte sich in die Höhe und sagte zu den Burschen: »Sie sind Ingenieure?« Da senkten sie alle langsam die Hände, Karl dagegen bestand auf seiner ersten Meldung. Der Personalchef sah ihn zwar ungläubig an, denn Karl schien ihm zu kläglich angezogen und auch zu jung, um Ingenieur sein zu können… [Kafka, Amerika]



Der Leiter wandte sich mit offenem Mund gegen den Schreiber, dieser aber machte eine abschließende Handbewegung, sagte „Aufgenommen“ und trug auch gleich die Entscheidung ins Buch ein… Es gab aber noch eine kleine Verzögerung, als man ihn jetzt nach seinem Namen fragte. [Kafka, Amerika]



Die Vorkehrung der Medien haben eben den Zweck, die profanatorische Macht der Sprache als reines Mittel zu neutralisieren und zu verhindern, daß sie die Möglichkeit eines neuen Gebrauchs, einer neuen Erfahrung des Wortes auftut. [Agamben, Profanierungen, 87]



„Negro?“ fragte der Leiter, drehte den Kopf und machte eine Grimasse, als hätte Karl jetzt den Höhepunkt der Unglaubwürdigkeit erreicht. Auch der Schreiber sah Karl eine Weile lang prüfend an, dann aber wiederholte er „Negro“ und schrieb den Namen ein. „Sie haben doch nicht Negro aufgeschrieben?“ fuhr ihn der Leiter an. „Ja, Negro“, sagte der Schreiber ruhig und machte eine Handbewegung, als habe nun der Leiter das Weitere zu veranlassen. Der Leiter bezwang sich auch, stand auf und sagte: „Sie sind also für das Theater von Oklahoma-„, aber weiter kam er nicht, er konnte nichts gegen sein Gewissen tun, setzte sich und sagte: „Er heißt nicht Negro.“ Der Schreiber zog die Augenbrauen in die Höhe, stand nun selbst auf und sagte: „Dann teile also ich Ihnen mit, daß Sie für das Theater in Oklahoma aufgenommen sind und daß man Sie jetzt unserem Führer vorstellen wird.“ [Kafka, Amerika]



Wenn ich dabei mich und das Wort entstellte, tat ich nur, was ich tun mußte, um im Leben Fuß zu fassen. Beizeiten lernte ich es, in die Worte, die eigentlich Wolken waren, mich zu mummen. [Benjamin, Berliner Kindheit um Neunzehnhundert, GS, IV, 1, 261]



Il trono vuoto, simbolo della Gloria, è ciò che occorre profanare… [Agamben, Il Regno e la Gloria, 11]








Einige zitierte Bücher




Fast alle Zitate Benjamins stammen von Ein Lesebuch (außerdem entschuldigt der Sammler sich, daß seine Auflage unglücklicherweise ein Mängelexemplar ist). Andernfalls findet der Leser das Verzeichnis der Gesammelten Schriften. Agambens Il Regno e la Gloria (2007) ist noch nicht übersetzt.





  • Agamben, G. Idee der Prosa, übersetzt von Leupold, D. e Härle C.-C., (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 2003).

  • Agamben, G. Homo Sacer, übersetzt von Thüring, H., Giurato, D., (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 2002).

  • Agamben, G. Die kommende Gemeinschaft, übersetzt von Hiepko, A., (Berlin: Merve Verlag, 2005).

  • Agamben, G. Profanierungen, übersetzt von Schneider, M., (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 2005).

  • Agamben, G. il Regno e la Gloria, (Vicenza: Neri Pozza, 2007).

  • Agamben, G. Die Zeit, die bleibt, übersetzt von Giurato, D., (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 2006).

  • Benjamin, W. Ein Lesebuch, (Frankfurt am Mein: Suhrkamp Verlag, 1996). (Mängelexemplar).

  • Benjamin, W. Gesammelte Schriften, (Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1974-1989).

  • Die Bibel, nach der deutschen Übersetzung D. Martin Luthers, (Köln: Naumann & Göbel, 2005).

  • Caproni, G. Tutte le Poesie, (Milano: Garzanti, 2004).

  • Célan, P. Der Meridian und Andere Prosa, (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 1988).

  • Célan, P. Todesfuge und andere Gedichte, (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 2004)

  • Von Chamisso, A. Peter Schlemihls wundersame Geschichte, (Ditzingen: Reclam, 1986)

  • Derrida, J. As if I were Dead / Als ob ich tot wäre, (Wien: Turia und Kant 2000).

  • Frankfurter Allgemeine Zeitung

  • Kafka, F. Amerika, (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 1997)

  • Langenscheidts Taschenwörterbuch Lateinisch-Deutsch, (Berlin und München: Langenscheidt, 1963).

  • Mandelstam, O. Gedichte, übersetzt von Celan, P. (Frankfurt am Main: Fisher Taschenbuch Verlag, 2004).

  • Mandel'štam, O. in AAVV, Poesia Russa del Novecento, (Milano, Feltrinelli, 1979).

  • Nancy, J.L. A Finite Thinking, various translators, (Stanford: Stanford University Press, 2003).

  • Nancy, J.L. The Muses, translated by Kamuf, P., (Stanford: Stanford University Press, 1996).

  • Der Spiegel

  • Die Tageszeitung

  • Wizisla, E. Marx, U. Schwarz, G. Schwarz, M. Walter Benjamin Archive. Bilder, Texte, Zeichen, (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 2006).