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Ma, cominciamo:
Rubrica
Lettere Parole
Proverò a descrivere questa rubrica.
Innanzitutto qui tratteremo di lettere, e per la precisione faremo finta di…
No, già sbaglio. Per la precisione faremo vero di… perché qui ci occuperemo della verità, benché in modo insolito. Giocheremo con lo spazio ed il tempo, e più ancora con noi stessi, per trarre la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.
Ma nessuno giuri! Perché i fatti saranno assolutamente falsi, almeno quanto le persone che interverranno.
Sì! Mancheremo di rispetto allo scorrere del tempo, alle distanze spaziali e ad ogni cordialità, ma solo per raggiungere qualcosa che esista, qualcosa di vero.
Saranno autentiche le emozioni ed i pensieri, perché sinceri ed insofferenti, sarà vera la nostra passione, l’attenzione. Perché vorremo credere.
Dovrei forse spiegarmi meglio, e non abusare ancora della tua pazienza di lettore.
Dunque, dunque…
Questa che segue è una lettera, quasi a caso, fra le tante mai scritte. A caso perché io l’ho scelta, ed avrei potuto sceglierne una diversa, o qualchedun altro avrebbe potuto scegliere, poi altri avrebbe potuto scriverla, altri ancora riceverla… Insomma, è proprio a caso.
Eppure è proprio per lo stesso strano caso che tu ora stai qui a leggere, questa lettera, che è questa, mentre avrebbe potuto essere un’altra… Beh, anche tu, del resto, potresti essere, a caso, tutt’altro, ed invece – guarda caso – sei proprio tu!
Lo avrai capito: qui, l’intenzione seria è di giocare a caso!
Ed è tutto il vero di cui disponiamo, questo attimo (casuale) in regalo, per il quale spudoratamente saccheggeremo da corsari, come ladri privi di ogni riguardo, tutto il tempo e tutto lo spazio conosciuto, per raggiungere la nuova terra… la soglia del presente.
Perché – diciamocelo – “non si può andare avanti così”, ma come via di fuga siamo utopisti molto concreti, e scegliamo il presente: per elencare ad una ad una le nostre ragioni, le nostre erezioni, le nostre lettere e tutte le parole che occorrono. Fino ad una, e ricominciamo.
A partire da oggi, e periodicamente, su questa pagina verrà aperta pubblicamente una lettera, tratta dai celebri e meno celebri epistolari raccolti nel corso della storia: il poeta che ha scritto alla madre, il filosofo all’amata, la musicista al nipote, il pittore all’amico…
E chi vorrà potrà rispondere, incontrare con le sue parole quelle dell’autore, ma, essenziale, nei panni fasulli del destinatario della lettera. Così di volta in volta impersoneremo (quali logorroici corrispondenti) ora la madre, ora l’amico, ora il nipote… dello scrittore di sorta. Ed io pure, come di seguito vedete, risponderò.
Potrete inoltre scrivere ai vivi e ai morti (reali o immaginari), offrendo lo spunto, a me o a chi voglia, di rispondere nelle vesti del destinatario da voi scelto.
Le lettere potranno essere qui pubblicate. Scrivete al mio indirizzo di posta:
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Inizieremo con un’insolita lettera, riferita punto punto dal protagonista di un racconto di Tabucchi. Chi volesse cercarla spulci fra le prime pagine de Il gioco del rovescio, edito da Feltrinelli nel 1991.
Questa lettera fu scritta – fantastica Tabucchi – dalla umile famiglia di un casellante, che, per una volta, raccolse intorno al tavolo tutto il coraggio che poté, e cuore in mano e forza nei denti, scrisse nientemeno che al Ministro dei Trasporti, per domandare la salvaguardia di… una palma.
Siamo nel 1953, e questo gesto di coraggio della madre viene ricordato dal protagonista, con orgoglio e nostalgia, come un momento di felice raccoglimento familiare.
Per parte mia questa lettera è il regalo di un’amica, che pochi giorni fa mi ha consegnato, quasi un piccolo tesoro, questo libro di Tabucchi dalle sue mani alle mie, e forse mi perdonerà – e voi pure – l’infelice risposta di questo fasullo Ministro dei Trasporti (che son io travestita), sotto le cui parole poco ministeriali traspariranno le mie volgari.
Potete inviare, voi tutti falsi Ministri, se volesse è certo ben gradito anche qualche Ministro vero, le vostre risposte alla famiglia del casellante.
LA LETTERA
Al Ministro dei Trasporti, anno 1953.
«Egregio Signor Ministro, in relazione alla circolare numero tal di tali, protocollo tal dei tali, riguardante la palma situata nel piccolo terreno antistante al casello numero tal dei tali della linea Roma-Torino, la famiglia del casellante informa l’Eccellenza Vostra che la suddetta palma non costituisce nessun impaccio alla visuale dei convogli di passaggio. Si prega dunque di lasciare in piedi la suddetta palma essendo l’unico albero del terreno, a parte una rada pergola di vite che cresce sulla porta ed essendo molto amata dai figli del casellante, facendo specialmente compagnia al bambino che essendo di natura cagionevole è costretto spesso al letto e almeno può vedere una palma nel riquadro della finestra che se no vedrebbe solo aria che dà malinconia, e per testimoniare dell’amore che i figli del casellante hanno per il suddetto albero basta dire che l’hanno battezzata e non la chiamano palma ma la chiamano Giosefine, dovuto questo nome al fatto che avendoli noi portati una volta al cinema in città a vedere Quarantasette morto che parla con Totò, nel film luce si vedeva la celebre cantante negra francese col suddetto nome che ballava con un copricapo bellissimo fatto con foglie di palma, e allora i nostri bambini siccome quando c’è vento la palma si muove come se ballasse la chiamano la loro Giosefine.
La famiglia del casellante»
(Antonio Tabucchi)
LA MIA RISPOSTA. ALLA LETTERA :
Alla famiglia del casellante, 15 luglio 2002.
«Gentile famiglia,
ho letto e capisco le vostre ragioni. Spero capiate voi pure che il tempo a disposizione di un ministro dei trasporti è un bene prezioso, che purtroppo non può essere scialacquato senza danni per l’intero funzionamento del nostro amato paese. Voi di certo sareste più ragionevoli se solo aveste la compiacenza di paragonare il danno, ben più grave, di centinaia di vittime dovute ad una semplice palma con l’affetto, sentimento che ben s’addice ad ingenui e puri bambini, che dei teneri ma inconsapevoli fanciulli, detengono per un albero. Del resto se e come una palma possa arrecare seri inconvenienti alla viabilità ed alla sicurezza, è oggetto di approfonditi studi di nostra competenza, e quando dico “nostra” alludo a eruditi e rispettabili professionisti. Quel che a voi sembra, ben poco congrua con l’effettività dei nostri calcoli, nei quali spero voi non vogliate davvero entrare nel merito. E, davvero poco c’entra, in tutto questo, il pur lusinghiero film con Totò, se solo pensaste ad un convoglio che deraglia, portando con sé, dall’altra parte del mondo, una striscia di sangue e la paura di tanti occhi, coi loro grassi panini. Da troppo tempo, forse il vostro bambino è assente alla finestra di questa via. Ma la sua malinconia, tutta quella troppa aria che è il solo incubo che vi arriva sul bordo della finestra quando è la stagione delle piogge ed il cuore a pelo galleggia, è la via di transito di questo mondo nuovo. I convogli – sente e vede se esce di casa o dal balcone – portano stipati i progressi ammazzettati in blocchi di dinamo e sale. Ed occorre molto vuoto per questo transito che sfila via silenzioso sulle rotaie. Magari il sacrificio di una palma, e voi certo capirete è poca cosa. Mi dispiace per vostro bambino, mi spiace soprattutto, al di là della palma, della quale saprà farsene ragione, che sia così tanto ammalato. Eppure, anch’io so, come suo figlio che piange dagli occhioni, qui so, dal tavolo mezzo di legno, e mezzo di cavi, che non verrà più nulla, su un convoglio, o su un treno, a sostituire quella palma. Forse perché nulla che di qui passa ha la pazienza di esitare, soffermarsi. Non nutra fiducia in un fischio ininterrotto, che non ha i tempi del sonno e della veglia. Neppure il mio cuore ne ha più i tempi, e fischia. Per un caffè che alla sua linea di confine, del tal dei tali binario, tal di tali casello della linea Roma-Torino, si ripete inguaribile ogni mattina. Sa che lo vedo, suo figlio col mento sulla mano e sulla finestra che mira la palma, sparsa macchia nel cielo, e più del fumo, coi venti che soffiano dietro, alla sua triste danza. Non verrà treno a toglierla, non verrà sole a morirla, non verrà notte a coprirne il sorriso e le mosse, non verrà umido da seccarla, o cuore ad abbatterla, non verrò io, col mio copricapo di fuoco e la zozza sega. Lo dica al suo bambino, che finché mi sarà pieno il bicchiere di silenzio, le gambe non mi porteranno ad osare il mio dovere. Non vorrò mai farlo. Mi saluti Giosefine e baci per me la prima bella giornata di sole.
Il ministro dei trasporti»
(elisa santucci)
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