Berlin, 2009

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Friday, December 14, 2012

La Rosa dei Venti 4 (con piccola revisione) e RdV 5 [2010]

IV

[1] Se il copyright è nato come un arcano legato all’autenticità, il ruolo gioca è tutt’altro che anacronistico: indica infatti la rinomanza, com’anche il successo. Etimologicamente: cosa ‘viene/passa dopo’…

[2] Il copyright, come diritto di copia, sarebbe del tutto superfetativo in un contesto ove l’autenticità dell’originale non fosse posta in dubbio.

[3] Infatti, ben prima di salvaguardare i diritti di copia in un contesto in cui la possibilità di riproduzione aumenta esponenzialmente, il copyright sposta il carattere ontologico ed economico dell’‘oggetto riprodotto’ in carattere prettamente mediatico.

[4] Stabilire il diritto di copia non si caratterizza come un procedimento additivo all’oggetto in sé, piuttosto significa stabilire il diritto di ri/produrlo. Come la rinomanza, anche la riproduzione è caratterizzata da due momenti (il momento produttivo ed il momento riproduttivo) che non possono essere scinti.

[5] Nella valenza mediatica della ri/produzione confluiscono sia ontologia che economia. Sarebbe erroneo pensare che la realtà mediatica divenga ontologica ed economica (in qualsivoglia visione utopica o apodittica) o che possa sostituire tali realtà. La realtà mediatica (o virtuale) solo apparentemente ambisce a sostituire la realtà ontologica. In realtà le si pone accanto alterandone la valenza, come la riproduzione si accosta alla produzione: la realtà ontologica diventa allora mediatica “in se stessa.” In altri termini: l’essere non smette d’essere, ma esiste soltanto mediaticamente. Non comprenderne a fondo la valenza, può risultare fatale.

[6] Ogni teoria che insista sulla fase di pericolo in cui l’ontologia sembri entrata (teoria di cui forse il primo grande esponente fu Heidegger) non solo manca il vero aspetto problematico ma alimenta il pericolo contro di cui si fece portavoce. Infatti la medialità ontologica (“il destino dell’essere”), lungi dall’offuscare o sostituirsi per l’essere determina quest’ultimo come mediatico. Il fenomeno, di cui Heidegger seppe trovare le radici in Nietzsche mentre Derrida ne dipanò di poi i rami, si caratterizza non come un fenomeno sbobinatosi a partire da Parmenide bensì è attuale e multimoderno.

[7] Il disvelamento dell’essere, il suo destino, è il successo della rinomanza: un fenomeno mediatico.

[8] Ontologia ed economia continuano a sussistere soltanto mediaticamente nel copyright.

[9] L’altro polo del diritto di ri/produzione è l’invenzione.

[10] Se il bottino di guerra nel processo culturale poteva esser considerato un accumulamento di oggetti autentici che fossero contemporaneamente preservati ed abusati, il bottino di guerra mediatico è l’informazione: sempre e soltanto una questione di copyright. Significa il diritto di riproduzione ed accesso alla rinomanza. Significa anche sigillare la rinomanza: il nome nella parola.

[11] La costituzione del nome nella parola: la sua rinomanza, è il dominio mediatico del copyright.

[12] Le implicazioni della componente mediatica in qualsiasi ontologia emerge considerando l’aspetto del brevetto nel copyright. Quest’ultimo non potrebbe essere imposto su alcun ritrovamento ontologico. Eppure la ‘natura’ mediatica della scoperta è l’in/venzione. Il sigillo mediatico è appunto il brevetto che viene posto sull’invenzione [inventare/trovare].

[13] In questa prospettiva non vi è niente che non possa essere brevettato perché non vi è essere che non sia mediatico. Si è mediaticamente.

[14] Il nome è un arcaico strumento per il copyright. La carta d’identità sancisce il diritto di copia sulla persona o la ‘natura’ mediatica dell’individuo. Se inizialmente aveva potuto sembrare uno strumento biopolitico di determinazione ed identificazione, infatti sancisce la veste mediatica della persona. Di qui l’inquietudine che si ha guardando vecchie carte d’identità che si appellano ad una sistematizzazione tanto anacronistica come le misure del corpo, i colori e l’immagine del volto della persona.

[15] Tutto ciò che porti seco un senso storico o temporale, ogni residuo mnemonico, deve venire abolito nel copyright che mantiene inalterato soltanto se stesso e nessun dato contingente che minacci la mediaticità.

[16] In tal senso il nome sulla carta d’identità, l’arcano della rinomanza rivela nel suo ‘corpo’, nella sua ‘nudità’, un anacronismo. La rinomanza privilegia infiniti pseudonimi o microchips.

[17] L’immagine digitale è un ottimo esempio d’in/venzione. Indica, oltre la riproducibilità, immediatamente la medialità. In tal senso, dove il copyright aderisce alla riproducibilità, il brevetto esprime direttamente la medialità del digitale.

V

[1] Il disvelamento dell’essere non è l’evento, bensì il successo. In altri termini: non ‘cosa’ accade bensì il succedere nel suo sempre nuovo proclama di successo.

[2] Successo etimologicamente significa ‘sub-cedere’: ‘venire/passare dopo”. Dopotutto sia ‘evento’ che ‘successo’ pongono sulla propria interfaccia due diverse temporalità: il futuro/presente ed il passato/presente. Tale articolazione è loro necessaria come realtà mediatica di ri/nomanza.

[3] Definire il successo, la rinomanza, come una articolazione del ‘destino dell’essere’ significa sottolineare la natura mediatica del destino.

[4] La morale degli schiavi è la socializzazione e contestualizzazione della morale dei signori: il suo successo.

[5] La ‘follia’ di Nietzsche non differisce dalla follia di Hölderlin (secondo Heidegger) nel tentativo di scindere il nome dalla rinomanza dopo averne diagnosticata l’im/possibilità. Derrida ne trae l’insegnamento e lo pone a buon frutto. Sarebbe assai stolto non voler riconoscere le implicazioni del successo europeo di Derrida che è passato oltre oceano.

[6] Si può parlare a buon diritto del successo e rinomanza di Derrida.

[7] Il destino dell’essere è il suo successo.

[8] Uno psicologismo spiccio potrebbe indicare che dato l’insuccesso come esito, sia ragionevole voler spezzare il legame con il ri/conoscimento per tornare alla parola nominante (e non ancora rinomata).

[9] Il nazismo è stato una splendida forma d’in/successo. Fascismi e totalitarismi sembran aver voluto sottolineare il nome della rinomanza.

[10] Questi tempi mediatici possibilmente spostano l’accento sulla rinomanza del nome ed il termine ‘globalizzazione’ ha sostituito ‘fascismo’.

[11] Destino è allora il nome della rinomanza: il suo mito come successo.